Il settore audiovisivo torna finalmente a crescere. Lo evidenzia l’ultima relazione dell’Agcom, presentata a Montecitorio lo scorso 11 luglio, secondo la quale il 2016 registra un’inversione di tendenza dopo anni di declino, riportando i ricavi sopra gli 8 miliardi (i valori del 2012) con un incoraggiante +7% rispetto all’anno precedente.
La pubblicità resta la fonte principale del mercato, 41,3%, seguita dalle offerte a pagamento, 36,1%, mentre i fondi pubblici (canone, convenzioni con soggetti pubblici e provvidenze) costituiscono il 22,6% del mercato, registrando l’incremento maggiore (quasi 2 punti percentuali) rispetto al 2015.
mercaNonostante il numero di operatori resti vasto (oltre 500 tra nazionali e locali), i soggetti rilevanti in termini di fatturato e occupazione continuano ad essere i soliti.
Il gruppo Sky/Fox, che opera tradizionalmente nel mercato della pay-tv a cui ha affiancato di recente una propria offerta DTT in chiaro, detiene la quota maggiore di ricavi, il 32%, anche se si riduce di 1,5 punti percentuali sul 2015. Rai balza al secondo posto “aiutata” dall’incremento delle entrate da canone, e detiene una quota vicina al 30%. Segue il gruppo Fininvest/Mediaset, operante in entrambi i mercati in chiaro e a pagamento, che incide per il 28%.
La relazione mette in evidenza come ancora una volta i due mercati della televisione in chiaro e a pagamento facciano riferimento a target differenti (come noto Agcom ha di recente deliberato, a seguito di una consultazione pubblica, confermandone la separazione) , coprendo, la prima, quasi la totalità delle famiglie italiane (circa 25 milioni) e la seconda solo quel terzo della popolazione (circa 9 milioni di famiglie) disponibile a spendere cifre più o meno elevate per fruire di contenuti premium (film in prima visione, serie tv, sport).
I ricavi degli operatori in chiaro hanno raggiunto 5 miliardi di euro, grazie a due fattori: i maggiori introiti derivanti dalla nuova modalità di riscossione del canone attraverso la bolletta elettrica e il ritorno in positivo degli investimenti pubblicitari. Gli introiti degli operatori a pagamento valgono invece circa 3,4 miliardi: circa il 90% di questi è dovuto alle offerte televisive in pay-tv e pay per view senza grosse variazioni dal 2011, il resto proviene offerte fruibili anche, o esclusivamente, via web.
Entrambi i mercati restano, tuttavia, molto concentrati: infatti nella tv in chiaro Rai e Mediaset detengono oltre l’80% dei ricavi totali (rispettivamente circa il 50% e 30%), mentre Sky vanta il 77% delle entrate della tv a pagamento, seguita a distanza da Mediaset con il 21%.
La ripresa del mercato dunque non porta grosse novità in termini di struttura, per quanto il settore mostri grande fermento su diversi livelli.
Lato Internet, ad esempio, molti operatori televisivi hanno, infatti, saputo affiancare ai canali televisivi tradizionali pacchetti di contenuti veicolabili online attraverso portali dedicati, applicazioni, pagine riconducibili alle diverse piattaforme digitali.
È significativo l’esempio di Rai Play, il tentativo ben riuscito dell’operatore pubblico di svecchiare la propria immagine attraverso una piattaforma multimediale per la fruizione dell’enorme library Rai e di contenuti creati ad hoc per un’esperienza online e social. Badti pensare al video dell’esercizio dalla coppia italiana (Flamini, Minisini) premiato con la medaglia d’oro nel nuoto sincronizzato che ha registrato sul portale on line del broadcaster pubblico oltre 730mila visite nel giorno stesso in cui è avvenuto l’evento.
L’affermarsi sul mercato degli OTT non è una novità dell’ultimo anno. Quello che probabilmente salta all’occhio è che i servizi streaming non sembrano ancora intaccare in modo singificativo il potere degli operatori tradizionali, che continuano a dettare legge nel mercato audiovisivo. Lo dimostra l’esordio italiano non proprio convincente del gigante Netflix, (104 milioni di abbonati nel mondo di cui 52 milioni fuori dagli USA) la cui strategia è tuttavia sempre più imperniata sui contenuti autoprodotti e aderenti ai gusti dei paesi raggiunti dal servizio, e potrà mostrare i propri frutti anche in Italia il prossimo ottobre con la programmazione di opere come Suburra: La Serie, prima produzione made in Italy del colosso statunitense, in contemporanea in 190 paesi.
Netflix non è l’unico operatore a puntare sulla maggiore freschezza e originalità dei contenuti autoprodotti: la strategia di Sky, che, perse le partite della Champions nel triennio 2015-2018, ha saputo far crescere nuovamente il numero degli abbonati (siamo a quota 4,8 milioni) grazie anche al successo di pubblico di programmi come X Factor o MasterChef e serie tv nostrane di alta qualità come Gomorra o la coproduzione internazionale The Young Pope.
Sul fronte Mediaset, invece, tutto sembra fermo in attesa che si risolva la rognosa vicenda Premium, l’accordo con Vivendi che avrebbe dovuto risollevare le sorti del ramo pay del Biscione che non si è mai concluso a causa del repentino dietro-front dei francesi. L’investimento di 3 anni fa per l’acquisto dei diritti della Champions non ha mai fruttato come sperato in termini di abbonamenti e ricavi, e per la prossima stagione, l’ultima prima che la massima competizione europea torni su satellite, sta pensando ad un cambio di rotta, con più partite in chiaro, cessione dei singoli eventi, possibilità di subappalto ad altri operatori tra cui Sky e, per gli anni a venire, evoluzione in ottica OTT verso Infinity.