Lo scorso 31 luglio, in occasione del Welfare Day 2017, è stato presentato il VII Rapporto RBM-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata. Leggendo il rapporto, viene da chiedersi se l’art. 32 della Costituzione italiana, in particolare nell’espressione “La Repubblica […]garantisce cure gratuite agli indigenti“, non sia un po’ anacronistico. La risposta a tale domanda purtroppo è sì; infatti, non si parla più di sistema sanitario universalistico ma di universalismo selettivo. È questo ormai l’ossimoro con cui si definisce la sanità italiana, la sanità non più per tutti, soprattutto per chi non ha le condizioni economiche adeguate ed è dunque costretto alla rinuncia alle cure o a rimandare visite ed analisi diagnostiche.
Gli italiani devono ricorrere sempre più alla sanità pagata di tasca propria per poter usufruire di prestazioni sanitarie appropriate alle proprie esigenze che non trovano nel pubblico le risposte adeguate, a causa delle interminabili liste di attesa che continuano ad allungarsi, soprattutto nel Sud Italia, o perché risiedono in un territorio in cui l’offerta di servizi sanitari è di qualità insoddisfacente.
Nel 2016, la spesa sanitaria privata in Italia ha raggiunto i 35,2 miliardi di euro ed è dal 2007 che continua a crescere ad un ritmo sostenuto. Il maggior ricorso alla sanità privata ha come contraltare il cosiddetto fenomeno della “sanità negata”, che dilaga sempre più: sono tantissime ormai le persone a basso reddito che non hanno la possibilità di far fronte a proprie spese al bisogno di salute e dunque si vedono costrette a rinunciare o a rimandare di continuo. Ad oggi, sono circa 12 milioni di cittadini che hanno rinunciato ad almeno una prestazione per ragioni economiche (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente) e intanto si ampliano le differenze tra le sanità regionali, non solo nella valutazione dei cittadini ma anche nei valori di indicatori più strutturali degli esiti, come ad esempio la quota di malati cronici in buona salute che nelle regioni del Mezzogiorno è inferiore a quella delle regioni del Centro-Nord e, soprattutto, è letteralmente crollata negli ultimi anni.
“La retorica dell’universalismo del Servizio sanitario pubblico è – come si legge nel rapporto – un guscio vuoto di fronte alle evidenti diversità di accesso alla tutela della salute e alle cure, e alla moltiplicazione degli effetti di razionamento dei principali deficit del Servizio sanitario stesso”.
In tale contesto cresce l’interesse nei confronti della sanità integrativa che dovrebbe essere in grado di liberare risorse aggiuntive per il Servizio sanitario, in modo da fornire una risposta adeguata alle esigenze di salute dei cittadini italiani.