Cosa c’è dietro la sfida estiva Disney-Netflix

Disney-NetflixL’avvincente sfida a colpi di annunci a sorpresa che si è consumata nel corso di questa estate tra Disney, il brand più prestigioso  a livello mondiale nel settore dei media tradizionali e Netflix il gigante dello streaming che di recente ha varcato la soglia dei 100 milioni di abbonati di cui metà fuori dagli Stati Uniti, segna un cambio di passo nelle strategie di integrazione tra produzione di contenuti e gestione delle piattaforme distributive. Con riflessi importanti anche a livello nazionale dove come è noto è in gioco una partita decisiva che vede protagonista la media company francese Vivendi che ha preso di mira due asset strategici della nostra industria nazionale (Mediaset e Telecom) per rilanciare la sua politica espansiva. Governo e autorità permettendo, visto che è allo studio l’ipotesi di far valere le norme relative alla cosiddetta golden share.

Breve riepilogo. Lo scorso 8 agosto la casa madre di Topolino, della Pixar e della Marvel ha annunciato l’intenzione di lanciare entro il 2019 due servizi  su una propria piattaforma streaming per veicolare nuovi i propri contenuti originali (uno dei due dovrebbe ospitare eventi sportivi targato Epsn)e di conseguenza di  ritirare progressivamente i propri contenuti da Netflix con il quale aveva sottoscritto una partnership

La reazione della società fondata da Reed Hastings è stata altrettanto vigorosa: a distanza di pochi giorni ha ufficializzato due importanti new entry: un contratto pluriennale con Shonda Rhimes, produttrice (e sceneggiatrice) di due delle serie tv di maggior successo in onda su Abc ovvoero Grey’s Anatomy e Scandal e l’ingaggio del mitico David Letterman, che  dopo due anni di pausa ha deciso di rimettersi in gioco proprio con l’operatore di video streaming. Tali annunci seguono un’altra importante operazione, ovvero l’acquisizione dell’editore di fumetti Millarword, sempre con l’obiettivo di rafforzare la propria library controllandone la proprietà intellettuale.

La decisione di Disney pur coraggiosa trova fondamento per due ordini di motivi. Il primo riguarda il nuovo corso di Netflix che già da diversi anni ha deciso di investire risorse sempre più massicce nella produzione di contenuti originali. Basti pensare che nel 2016 il provider ha distribuito 126 serie tv e film  raggiungendo 8 miliardi di dollari di fatturato, 6 dei quali destinati al budget per la creazione di nuove produzioni nel 2017 e 7 nel 2018. Ciò significa ridurre in modo considerevole la dipendenza da altri fornitori di contenuti e gestire con maggiore autonomia le scelte di approvvigionamento guidate dai sofisticati e (quasi) infallibili algoritmi progettati a Los Gatos.

Il secondo motivo è legato al fatto che a differenza di altri operatori, Disney rappresenta un marchio unico e riconosciuto a livello internazionale per la qualità delle  sue produzioni. Vantando un fatturato di 65 miliardi di dollari , inoltre, può permettersi di rinunciare ai mancati introiti derivanti dalla conclusione dell’accordo con Netflix e a stanziare risorse per lanciare una piattaforma distributiva stand alone.

Non mancano le insidie. In primo luogo non sarà facile competere con il popolare servizio di Netflix sotto il profilo tecnologico e della politica di prezzi. Ma anche per la qualità delle produzioni grazie alle quali ha collezionato quest’anno decine di Emmy e per la sua crescente potenza di fuoco. Secondo quanto riporta il Sole 24 ore in tre mesi ha varato 14 nuove serie originali, 13 speciali comici, 6 documentari, 7 serie per bambini e nove film ! In secondo luogo non è ancora chiaro come il gruppo guidato da Bob Iger intenda far convivere il nuovo servizio streaming con la programmazione dei due suoi canali di punta Abc e Espn.

Che la battaglia sui contenuti sia giunta ad una fase di piena maturazione è acclarato.  A livello Si impone per le major di Hoollywood un ripensamento complessivo delle proprie strategie di investimento e diversificazione, pena la perdita progressiva di rendite di posizione a vantaggio dei giganti della Silicon Valley, in primis Amazon ed Apple (che il 12 settembre lancerà la sua nuova tv in 4k) che hanno messo sul piatto decine di miliardi di euro per approvvigionarsi di contenuti originali siglando accordi con i principali studios – da diffondere attraverso le proprie piattaforme on line.

Seguiremo gli sviluppi di questa competizione auspicando che anche gli operatori europei possano giocare un ruolo non marginale soprattutto se stingono accordi come quello che recentemente consentirà al servizio video on demand Timvision di trasmettere alcuni contenuti sportivi di Eurosport (inclusi i Giochi olimpici 2018 e 2020) grazie ad una partnership siglata con Discovery. Una cosa è certa: il futuro dei contenuti sarà sempre glocal, online e di qualità.