Un mercato dell’audiovisivo in grosso fermento quello emerge dal Rapporto Ores 2017 “Italia Digitale, istruzioni per l’uso – Alla ricerca di uno shock per la domanda”, presentato a Roma lo scorso 31 ottobre 2017. Gli operatori, alla continua ricerca del proprio modello di business, cercano di acquisire posizioni strategiche e contrastare lo strapotere di Netflix e la crescita esponenziale degli OTT che, nel 2022, varranno 83 miliardi di dollari. D’altra parte la posta in gioco è altissima: la sopravvivenza in un mercato dove le offerte sono infinite e i player tantissimi, tutti in corsa per accaparrarsi un bene prezioso e limitato come l’attenzione degli spettatori. Un concetto per nulla scontato, considerato che oggi abbiamo a disposizione una miriade di schermi e device, tutti rigorosamente connessi, che, se da un lato hanno aumentato il tempo di fruizione, dall’altro hanno corroso la fedeltà dell’utente.
Le telco si stanno integrando con le pay-TV per offrire servizi triple/quadruple play, trasformandosi, di fatto, in media company. Negli USA si sono concluse due operazioni imponenti in questo senso: l’acquisizione di Yahoo! da parte di Verizon, costata 4,4 milioni di dollari, e la fusione tra At&T e Time Warner, ovvero tra una delle principali società di telecomunicazioni statunitensi e il più grande gruppo editoriale al mondo, operazione dal valore di 85,4 miliardi di dollari. In Europa non stanno a guardare: in Spagna, Telefónica, è diventato il primo operatore di pay-TV grazie all’acquisto del 100% di Digital+, che è stato incorporato nella propria offerta a marchio Movistar; in Italia, attraverso la joint venture Tim-Canal+, l’operatore francese cerca di sbloccarsi da un periodo difficile nel corso del quale ha perso 80mila abbonati (500mila nel 2016, 300mila nel 2015).
Ma le operazioni di fusione e acquisizione non riguardano solo le telco. Basti pensare all’acquisizione di Scripps da parte di Discovery Communications, entrambe media company, entrambe attive a livello internazionale e player di primo piano nel mercato della pay-TV statunitense, operazione costata 14,6 miliardi di dollari.
I contenuti sono il valore aggiunto del mercato: per ottenerli si spendono cifre sempre più consistenti. Nei prossimi anni aumenteranno in maniera esponenziale tanto che ciascun individuo nel 2021, secondo Cisco, dovrebbe avere a disposizione più di 5 milioni di anni per poter guardare tutti i video che passeranno per la rete. Il traffico consumer dovuto al video on demand raddoppierà e sarà l’equivalente di 7,2 miliardi di DVD al mese.
Anche negli States dunque, come in Europa, si corre ai ripari contro lo strapotere di Netflix, che ha da poco superato 109 milioni di abbonati di cui oltre 55 fuori dagli States e che a fine anno avrà speso 6 miliardi di dollari in contenuti. Amazon non sta a guardare: a fine anno avrà investito 4,5 miliardi nel settore, 4 volte la cifra spesa nel 2013. Tra i partecipanti alla corsa, non dimentichiamolo, le grandi catene televisive, che non ci stanno a farsi da parte: in USA, nella stagione 2016, almeno 17 emittenti da diverse piattaforme hanno realizzato ben 500 show, il doppio rispetto a quelle del 2011.
Se Netflix vince la sfida degli abbonamenti, la pubblicità digitale è affare di Google e Facebook: nel 2016 quasi un terzo degli investimenti globali in advertising sono da attribuire a Internet (desktop + mobile). Siamo ormai ai livelli della televisione. Secondo eMarketer, i ricavi pubblicitari dei due giganti del web dovrebbero aggirarsi attorno a 72,69 e 33,76 miliardi di dollari nel 2017, pari al 46,6% del mercato globale dell’advertising digitale. La quota potrebbe superare il 50% in due anni. Il resto andrà ai colossi cinesi del web (Alibaba, Tencent, Baidu) e agli altri operatori attivi nella pubblicità digitale (Amazon, Snapchat, Twitter e i portali di informazione). Amazon, secondo eMarketer, nel 2017 avrà guadagnato 1,81 miliardi di dollari, troppo poco al momento per allargare la partita a tre elementi, ma già nel 2019 dovrebbero salire a 2,84 miliardi.
L’ambiente audiovisivo è anche territorio di sperimentazione: il flop del 3D ha permesso di acquisire know-how per guardare oltre, e già si sperimentano esperienze di realtà aumentata e realtà virtuale. Ovviamente stiamo parlando di un mercato piuttosto immaturo, in cui si stanno tentando diversi modelli di business e si sperimentano svariati prodotti di bassa qualità, dai costi alti e margini bassi. Man mano che emergeranno piattaforme e device più performanti, il mercato arriverà ad un altro livello di sviluppo. Coloro che raggiungeranno per primi questo traguardo guadagneranno, come sempre avviene, il diritto ad imporre il proprio standard, e a quel punto si potrà parlare di guadagni veri, dalla vendita dei contenuti, delle licenze o dalla pubblicità. PwC stima che il mercato, guidato da Stati Uniti, Cina e Giappone, crescerà ad un CAGR dell’80% e passerà da un valore di 869 milioni di dollari del 2016 ai 15 miliardi nel 2021. La vera sfida per il futuro sarà migliorare la qualità delle immagini e questo porterà ad una crescita dell’utilizzo di dati.