Tutti i dubbi di Banca d’Italia sulle criptovalute

Che la crescita delle criptovalute avesse raggiunto un livello tale da non poter più essere ignorata dai grandi operatori della finanza mondiale e dagli istituti pubblici di vigilanza, era già noto dalla fine dello scorso anno. La più celebre delle monete virtuali, il BitCoin, nel dicembre 2017 ha raggiunto il valore record di circa 19300 dollari.

Il valore è poi notevolmente calato fino a raggiungere i 9700 dollari attuali, ma il clamore che ha raggiunto ha portato un numero sempre crescente di persone ad avvicinarsi al mondo delle valute digitali.

A lanciare l’allarme questa volta è stata la nostra Banca d’Italia attraverso il primo “Rapporto sulla Stabilità Finanziaria” del 2018. L’istituto bancario si è soffermato in particolar modo sull’esplosione del mercato nell’ultimo anno. Dall’inizio del 2017 il numero di criptovalute in circolazione è più che triplicato ed è passato da circa 500 a più di 1600. L’aumento però non ha riguardato solo la quantità di monete digitali in circolazione, ma soprattutto il loro controvalore in dollari che è più che raddoppiato: ha superato infatti i 370 miliardi, importo di poco inferiore allo 0,5% della capitalizzazione delle borse a livello mondiale.

A spaventare Bankitalia sono principalmente i limiti di natura tecnologica che questi sistemi portano con sé e che ancora oggi rendono le criptovalute estremamente inefficienti rispetto alle altre forme di pagamento digitale. L’uso delle monete digitali è infatti gravato dall’incertezza sui tempi di esecuzione delle transazioni e dalla non trasparenza dei costi imputabili alle singole operazioni effettuate.

Questi motivi, sommati all’estrema variabilità del loro valore, hanno portato Banca d’Italia (come sottolineato anche da noi in un precedente articolo) a rilanciare l’idea che le criptovalute non abbiano ancora raggiunto la maturità e le caratteristiche necessarie per svolgere la funzione monetaria ma che siano, allo stato attuale, un vero e proprio strumento speculativo.

Alle critiche è però seguito un elogio nei confronti della “distributed ledger technology”, la tecnologia che consente di fatto di effettuare le transazioni in valuta digitale.

La DLT ha il potenziale per portare enormi benefici all’economia globale e una vera e propria rivoluzione in molteplici settori industriali. Questo attestato di stima fa eco alla posizione assunta dall’Unione Europea su questo tema.

In seguito all’istituzione di un un osservatorio permanete sulla blockchain voluto dalla Commissione europea, ben ventidue paesi del vecchio continente (tra questi non c’è l’Italia) hanno deciso di siglare un accordo denominato European Blockchain Partnership che ha come obiettivo lo scambio di competenze in campo tecnico e normativo tra gli stati. L’impegno di Bruxelles in questo senso sta raggiungendo una dimensione sempre più concreta. Negli scorsi anni erano già stati investiti oltre 80 milioni di euro in progetti innovativi a sostegno dell’uso di questa tecnologia e questa cifra dovrebbe superare i 300 milioni entro il 2020.