Dare una definizione chiara di “smart city” non è una cosa semplice. L’attualità del tema ha portato numerosi soggetti, privati e istituzionali a spendersi sull’argomento. In un rapporto dal titolo “Smart City: Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento” redatto da Cassa Depositi e Prestiti viene fornita la seguente definizione:
“una città che secondo una visione strategica e in maniera organica, impiega gli strumenti dell’ICT come supporto innovativo degli ambiti di gestione e nell’erogazione di servizi pubblici, grazie anche all’ausilio di partenariati pubblico-privati, per migliorare la vivibilità dei propri cittadini; utilizza informazioni provenienti dai vari ambiti in tempo reale, e sfrutta risorse sia tangibili (ad es. infrastrutture di trasporto, dell’energia e delle risorse naturali) sia intangibili (capitale umano, istruzione e conoscenza, e capitale intellettuale delle aziende); è capace di ad una proiezione astratta della comunità del futuro. Il percorso, anche se non univoco, deve portare allo stesso obbiettivo che è quello di migliorare la vita ai cittadini garantendo il minor impatto ambientale possibile.”
Da questa definizione si comprende quanto gli strumenti di information & communication technology siano il cuore di qualsiasi città che si possa considerare intelligente. Fondamentale per il funzionamento di una smart city è che tutte le risorse e i servizi siano connessi e fruibili dai cittadini tramite la rete. La corsa alla digitalizzazione porterà allo sviluppo di una grandissima quantità di dati che, anche se rappresentano un’importante risorsa per le aziende che generano innovazione, devono essere gestiti garantendo la sicurezza degli utenti.
Nel distretto di Daimaru a Tokyo è in fase di sperimentazione il primo progetto di smart city che sfrutta la catena a blocchi. La capitale del Giappone è da sempre una delle città più tecnologicamente avanzate del pianeta, grazie anche alla fervente industria high tech che da sempre è un fiore all’occhiello del Paese. Il distretto di Daimaru è stato scelto come sede del progetto anche per la sua enorme importanza strategica e simbolica all’interno dell’economia nazionale. In quest’area, di circa 120 ettari, hanno sede alcune delle più grandi multinazionali al mondo e vi si genera il 10% del pil giapponese. Lo sviluppo tecnologico del progetto è stato affidato alla Fujitsu che ha deciso di puntare sulla blockchain per controllare uno degli aspetti più critici del sistema: la gestione dei dati. Per questa ragione la multinazionale giapponese ha deciso di affidarsi alla catena a blocchi di Hyperledger Fabric (ospitata da Linux foundation) sulla quale ha implementato una piattaforma software che permette agli utenti di utilizzare smart contract e inviare informazioni. I dati raccolti sul database verranno però conservati all’interno del perimetro aziendale e resi disponibili esclusivamente a soggetti autorizzati. Questo, se da una parte può rappresentare un depotenziamento delle capacità della blockchain (che per sua natura è un database trasparente e distribuito), dall’altra va incontro alle disposizioni normative in materia di protezione dei dati personali che, alla luce degli ultimi scandali internazionali, stanno acquisendo sempre più importanza.
La strada sembra essere ancora all’inizio ma le basi sono state gettate e grazie anche all’utilizzo della catena a blocchi la città del futuro sembra un po’ più vicina.