Convergenza media-telco: stretta su fusioni e acquisizioni. Quale impatto per l’Europa?


Articolo
Bruno ZAMBARDINO

Si è avviata una stagione di consolidamento nel settore audiovisivo: le fusioni e acquisizioni che stanno interessando gli operatori del mercato non sono una novità dell’ultima ora, quello che è cambiato è che una di queste, la fusione tra AT&T e Time Warner, operazione da 85 miliardi di dollari, abbia ottenuto l’ok dell’antitrust statunitense. L’operazione permetterebbe a al gruppo americano di entrare in possesso degli studi di Hollywood, HBO, CNN e il servizio streaming Hulu.

Un precedente importante, che potrebbe dare il via ad altri movimenti in grado di cambiare gli assetti del mercato. Come il tentativo di Comcast di sottrarre la 21th Century Fox alla Disney, mettendo sul tavolo 60 miliardi di dollari, superando dunque i 52,4 miliardi in azioni già accettati da Murdoch. L’operazione che potrebbe dare il via a una vera e propria guerra al rialzo (Disney ha già rilanciato con 71,3 miliardi di dollari), a dimostrazione di quanto gli operatori ritengano fondamentale l’unione di piattaforme e contenuti. Il sigillo all’operazione AT&T-Time Warner è sintomo di un cambio di rotta delle istituzioni nella direzione in cui sta andando il settore audiovisivo, in cui le integrazioni verticali non danneggerebbero consumatori e aziende, ma al contrario incoraggerebbero il mercato. Un mercato che, ricordiamolo, comprende operatori del calibro di Netflix e Amazon la cui avanzata può essere frenata solo da un nuovo atteggiamento delle vecchie guardie. Non c’è dubbio, infatti, che le nuove tendenze del settore abbiano creato una fase di sbandamento per i big dell’ex tv analogica, ma Internet, si sa, è alla portata di tutti, purché si abbiano le risorse, per questo entro 4 anni, secondo gli analisti, tutte le tv statunitensi avranno il loro servizio streaming.

E allora non deve suonare strano che un gigante come Disney da un lato abbia deciso di tagliare gli intermediari prima con Espn, la propria rete di sport, e poi con i due servizi di streaming che sta lanciando tra questo e il prossimo anno, e dall’altro sia ancora in corsa per l’acquisizione di Fox/Sky.

La stessa, Hbo, rete via cavo che produce Game of Thrones, dal 2014 ha un’offerta direct-to-consumer.

I grandi operatori della tv tradizionale hanno dalla loro la disponibilità economica e un giro d’affari che è 10 volte superiore a quello dei distributori di video online. Risorse che invece potrebbero mancare agli operatori più piccoli che potrebbero trovarsi, in un mercato che evolve rapidamente, a corto di contenuti o senza le risorse per stare sul mercato. Quelle stesse risorse che hanno permesso a Netflix e compari di puntare sui contenuti originali di qualità evolvendo rispetto al semplice ruolo di distributore. L’azienda di Reed Hastings ha recentemente annunciato che investirà in Europa un miliardo di dollari (più del doppio dello scorso anno) in serie tv, documentari e show specifici per i singoli paesi in cui si è insediata nella speranza di incrementare la base abbonati. La stessa strategia messa a punto da Facebook, che punta a produrre contenuti da fruire principalmente su smartphone ricordando, in occasione del MipTv di Cannes, che nel mondo sono attivi 2,4 miliardi di telefonini, cifra destinata a raddoppiare in 5 anni. Facebook ha già un suo canale di intrattenimento, Watch, lanciato lo scorso agosto, che sfrutta le caratteristiche “social” che gli sono più congeniali.

Saranno dunque interattività, contenuti e innovazione i cavalli su cui puntare nella sfida tra operatori provenienti dal mondo analogico e nativi digitali.

L’Europa intanto sta cercando di arginare l’avanzata degli OTT, l’obbligo di programmazione e investimento in opere europee serve a tutelare il nostro mercato audiovisivo ma anche a correggere una stortura legislativa sbilanciata a favore dei nuovi entranti (anche grazie alle pratiche di forum shopping) e della quale hanno beneficiato soprattutto i servizi in streaming made in Usa. Una strada obbligata, ma non sufficiente a competere alla pari a meno che non si apra una nuova stagione di collaborazione di tutti gli attori in gioco, dai produttori di contenuti alle piattaforme telco, fino agli stessi OTT, che abbia come fulcro l’utente al quale andrà garantita facilità di accesso, qualità e disponibilità di contenuti e tecnologie e politiche di prezzo flessibili e competitive. Senza penalizzare al tempo stesso le modalità di finanziamento delle opere audiovisive fondate sul principio chiave della esclusività territoriale. L’accordo tra Sky e Netflix per la creazione di un pacchetto unico di contenuti all’interno della piattaforma Sky Q sembra andare in questa direzione, unisce infatti il meglio della tecnologia alla flessibilità e disponibilità di contenuti multipiattaforma. Con buona pace degli utenti (articolo scritto con Monica Sardelli).

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