Quale regolamentazione a livello italiano ed europeo per la blockchain? Lo scenario in cui ci troviamo attualmente è ancora embrionale non solo dal punto di vista tecnologico e commerciale ma anche, e soprattutto, sotto il profilo normativo. Non vi sono fonti del diritto italiano o comunitario, né di primo né di secondo livello, che regolano tale settore né, allo stato, si può parlare di prassi commerciali radicate, tali da costituire una lex mercatoria a cui gli operatori possano fare riferimento. Tuttavia, dato che questa tecnologia è in continua e rapida evoluzione, le istituzioni e i regolatori hanno iniziato a mostrare sempre più interesse e a interrogarsi circa la necessità di intervenire con una regolamentazione uniforme.
Chiaro esempio di tale interesse è rappresentato dal fatto che quest’anno la Commissione Europea ha inaugurato l’Osservatorio e Forum Ue sulla blockchain che si occuperà di evidenziare gli sviluppi più importanti di questa tecnologia e di rafforzare l’impegno assunto a livello europeo dai soggetti coinvolti nel settore. Sulla scia dell’iniziativa della Commissione è stata creata la European Blockchain Partnership su iniziativa di 23 paesi europei (tra cui, purtroppo, non figura l’Italia) che punta a evitare un approccio frammentato dei vari attori del settore e a consolidare il ruolo dell’Europa nello sviluppo e diffusione della tecnologia blockchain.
Nonostante le iniziative europee sopra menzionate, la totale mancanza di regolamentazione in tema di blockchain pone molteplici questioni soprattutto quando questa tecnologia si declina negli smart contracts. Lo smart contract, è stato per la prima volta definito come “un insieme di promesse, espresse in forma digitale, incluse le regole che le parti vogliono applicarvi”. Tuttavia, è più chiara la definizione che inquadra gli smart contract in un “un accordo automatizzato ed eseguibile. Automatizzato da un computer, sebbene alcune parti richiedano un input o un controllo umano. Eseguibile sia attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria che tramite l’esecuzione automatica del codice. In altri termini, le clausole di un accordo tra due o più parti sono programmate e conservate sulla blockchain e, quando si soddisfano le condizioni descritte nel codice per l’avveramento di eventi interni o esterni, vengono automaticamente attivate. Ci si è molto interrogati circa la natura di tali contratti e il grado di separazione che esiste tra la forma contrattuale e il protocollo informatico. La mancanza di qualsivoglia intervento normativo che chiarisca come e se l’impianto normativo tradizionale possa essere applicato in tale ambito fa sì che rimangono aperte ed irrisolte molteplici questioni che, attualmente, devono essere affidate all’interprete.
Un tema fondamentale su cui occorre porre attenzione è quello relativo alla fase di formazione del contratto. In particolare ci si riferisce alla capacità di agire delle parti contraenti e agli eventuali problemi del consenso negoziale. Se, infatti, ogni negozio consiste in una manifestazione di volontà, può verificarsi che la dichiarazione di tale volontà manifestata esternamente non corrisponda all’intento negoziale del dichiarante. Se questo sistema di tutela trova normale applicazione con riferimento ai contratti tradizionali, occorre interrogarsi circa la sua possibile trasposizione agli smart contracts, dal momento che l’esecuzione di questi ultimi, come detto, una volta attivata non può essere interrotta o annullata all’interno del blockchain. Occorre inoltre riflettere su come possa essere verificata la effettiva corrispondenza tra la volontà delle parti e il codice. Non si può non considerare il fatto che con il blockchain l’identità della parte contraente non può essere ricondotta facilmente a una persona fisica a causa della possibilità di agire in via anonima o con pseudonimi. Da ciò ne consegue la difficoltà di riuscire a stabilire se le parti contraenti avevano oppure no la capacità d’agire al momento della conclusione del contratto e se la relativa volontà contrattuale sia stata eventualmente viziata. Anche la fase di esecuzione del contratto e della possibilità di modificarne i termini con riferimento agli smart contracts non è libera da problemi. Nonostante l’esecuzione nei contratti intelligenti, come si è visto, è automatizzata potrebbero, infatti, sorgere problemi in merito alla qualità delle prestazioni eseguite. La valutazione relativa alla conformità o meno dell’opera eseguita ad esempio può essere diversamente valutata dalle parti.
Un’ultima area non libera da interrogativi è quella relativa alle modalità di integrazione dei contratti laddove gli stessi si pongano in contrasto con norme di ordine pubblico o norme imperative e ai rimedi attivabili in caso di complicanze afferenti all’esecuzione degli stessi. Considerato che gli smart contracts non sono modificabili e la loro esecuzione è automatica, indipendente dalla volontà delle parti o di terzi, si discute se sia possibile ottenerne l’esecuzione o la risoluzione senza la necessità di coinvolgere organi terzi. Anche a tale riguardo non manca chi sostiene l’assoluta indipendenza degli smart contracts dagli impianti tradizionali ritenendo che anche le fasi critiche del rapporto si possano affrontate introducendo nel codice anche le “reazioni” ad azioni/ inadempimenti predefiniti. Tuttavia è difficile potere immaginare che si riescano a prevedere e codificare in anticipo tutte le possibili reazioni. Pare dunque che, anche in questo caso, il riferimento ai metodi tradizionali applicati ai contratti intelligenti sia la posizione maggiormente condivisibile.
(Tratto dal rapporto I-Com sull’Innovazione energetica dal titolo “L’energia si fa digitale. L’innovazione energetica è sempre più multidimensionale“, curato da Antonio Sileo nel quale il contributo su blockchain e smart contracts è stato realizzato da Lorenzo Parola, Paola Merati, Giacomo Gavotti di Paul Hastings).