5G, finita la gara inizia la corsa. Le sfide che attendono istituzioni e operatori


Articolo
Silvia Compagnucci
unione europea

Sono serviti quattordici giorni di rilanci e centosettantuno tornate per giungere alla conclusione della gara per l’assegnazione delle frequenze in banda 700 MHz, 3.6-3.8 GHz e 26.5-27.5 GHz per la rete 5G (qui tutti i dettagli dal sito del ministero dello Sviluppo economico). L’Italia è stato l’unico Paese europeo a decidere di mettere a gara in un’unica soluzione tutte le frequenze destinate allo sviluppo del 5G disegnando una procedura senza dubbio articolata e non priva di complessità. Abbiamo assistito ad un duro confronto tra gli operatori che ha assicurato allo Stato un’entrata di denaro assolutamente superiore a qualsiasi più rosea aspettativa. Entro il 2022, infatti, gli operatori verseranno 6 miliardi e 550,42 milioni di euro, il 164% in più del previsto.

La banda 700 FDD per i blocchi generici ha generato un introito totale di 1.363.436.396 euro cui si aggiunge il blocco riservato già aggiudicato alla società Iliad Italia per un importo pari a 676.472.792 euro. Tutti i blocchi per la banda 700 FDD sono stati aggiudicati per un ammontare complessivo di 2.039.909.188 euro alle società Vodafone, Telecom Italia e Iliad Italia. In particolare, Tim e Vodafone si sono aggiudicate 2 lotti a testa, ognuno da 5+5 MHz (10 in upload e 10 in download, disponibili a partire dal 2022) rispettivamente per 680,2 e 683,2 milioni di euro.

Conclusa anche la procedura di assegnazione delle frequenze in banda 26 Ghz che ha visto ognuno dei cinque operatori in gara (Telecom, Vodafone, Iliad, Wind Tre e Fastweb) assegnatario di un lotto con investimenti intorno ai 32-33 milioni di euro ciascuno. Ancora in ballo, invece, le frequenze 700 Mhz Sdl che saranno battute all’asta in questi giorni rispetto alle quali potrebbero giocare un ruolo da protagoniste Linkem e Open Fiber che fin’ora, seppur ammesse alla gara, non hanno formulato offerte.

A scatenare gli operatori però è stata la banda 3.6 -3.8 Ghz sulla quale sono stati investiti oltre 4,3 miliardi. In particolare, i due lotti specifici da 80 Mhz, i più pregiati, sono stati assegnati a Telecom e Vodafone rispettivamente per 1,694 miliardi e 1,685 miliardi mentre i lotti generici da 20 Mhz sono andati a Iliad e Wind Tre per 483,9 milioni.

Da più parti ci si è chiesti come mai gli operatori siano giunti a offrire somme così alte e se questi esborsi fossero stati in qualche modo messi in preventivo, ma non c’è dubbio che la battaglia senza esclusione di colpi su questa banda fosse l’unica possibilità per gli operatori intenzionati a giocare da subito la partita 5G. Considerato che le frequenze della banda 700 non saranno disponibili prima del 2022, la banda 3.6-3.8, libera da subito, rappresenta l’unica possibilità per gli operatori di lanciare servizi 5G in tempi ragionevoli e compatibili con quanto sta accadendo nel resto nel mondo. È stato senza dubbio il desiderio di non perdere il treno 5G a spingere gli operatori a formulare offerte stellari.

Ora che la gara è finita con spese ben superiori a qualsiasi previsione, è il momento di iniziare a progettare il futuro facendo, da un lato, il conto degli ulteriori inevitabili investimenti che ancora saranno indispensabili per implementare le reti 5G e, dall’altro, iniziando ad affrontare le difficoltà che caratterizzano il nostro Paese e che potrebbero ostacolare, o comunque rallentare, lo sviluppo delle reti e dei servizi 5G. D’altronde, non può essere dimenticata l’annosa questione, ad oggi ancora irrisolta ma chiaramente ormai improcrastinabile, dei limiti elettromagnetici che in Italia sono molto più severi che nel resto d’Europa, a cui si aggiunge una burocrazia unica per lentezza e inefficienza e una popolazione digitalmente immatura e spesso inconsapevole dei benefici connessi all’infrastrutturazione del Paese.

La gara 5G si è appena conclusa ma ora inizia la vera sfida per gli operatori e le istituzioni cui spetta il compito, ciascuno per la propria parte, di traghettare il Paese nel futuro.

Vicepresidente dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Tor Vergata nel 2006 ha partecipato, nel 2009, al master di II Livello in “Antitrust e Regolazione dei Mercati” presso la facoltà di Economia della medesima università conseguendo il relativo titolo nel 2010, anno in cui ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense.

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