Pochi giorni fa, attendendo la pubblicazione della nota di aggiornamento al Def, la Fondazione Gimbe pubblicava un comunicato stampa dal quale emergeva la preoccupazione che le numerose e legittime richieste degli stakeholder della sanità rischiassero di essere disattese. Già all’inizio di giugno la Fondazione aveva identificato quattro macro-determinanti della crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, nella consapevolezza che la sanità rappresenta contemporaneamente un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare e una leva di sviluppo economico da sostenere.
La (non) sostenibilità del Ssn, secondo l’analisi, trova la sua ragion d’essere in quattro principali elementi. Innanzitutto il definanziamento pubblico, che ha progressivamente ridotto la spesa sanitaria pubblica pro-capite, con la contestuale crescita della spesa privata out-of-pocket e il relativo aumento del divario rispetto gli altri paesi europei. E poi le criticità metodologiche nella definizione, nell’aggiornamento ed esigibilità dei Lea (i livelli essenziali di assistenza) nel rispetto dei vincoli che rendono impossibile l’aumento del Fonda sanitario nazionale e con significative difficoltà nel renderli uniformi sul territorio nazionale. Ancora, l’esistenza di sprechi ed inefficienze che avrebbero pesato per più di 20 miliardi di euro sulla spesa sanitaria pubblica nel 2017 e in ultimo, ma non meno importante, l’espansione del cosiddetto secondo pilastro non accompagnata da una normativa completa ed esaustiva. Quest’ultima, allo stato attuale, più che salvare la sostenibilità del Ssn sembrerebbe aumentare la disuguaglianza nell’accesso alle cure creando ulteriori distorsioni nella spesa.
Sebbene il capitolo sanità del cosiddetto contratto di governo riconosca come prioritario il rilancio del Ssn, e nonostante le istanze di cui si sono fatti portavoce i diversi stakeholder del settore mirino a soddisfare necessità inderogabili per la sua sostenibilità e la sua tutela, manca ancora, al momento, un elemento imprescindibile per la quadratura del cerchio. La Fondazione sottolinea, infatti, come il finanziamento del Ssn resti per ora quello fissato dall’ultima legge di Bilancio, senza che ne sia previsto alcun aumento. Sempre secondo le stime della Fondazione, rinnovi contrattuali, sblocco del turnover, borse di studio per il corso di formazione specifica in medicina generale e per le scuole di specializzazione, nuovi Lea, eliminazione dei superticket, ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico costerebbero allo Stato circa 4 miliardi. Al netto di circa 920 milioni del contenzioso sul pay-back farmaceutico 2013 – 2016.
Tale cifra sembra per ora irrealistica anche leggendo l’agognata nota di aggiornamento del Def, pubblicata nella serata di ieri, che pur conferma le priorità di cui sopra in tema di sanità. Nel quadro macroeconomico tendenziale si prevede che l’incidenza della spesa sanitaria pubblica corrente sul prodotto interno lordo si riduca dello 0,1% annuo a partire dal 2019. In questo modo arriverebbe a valere il 6,4% del pil nel 2021, accompagnato da una previsione di crescita economica tendenziale dello 0,9% nel 2019 e dell’1,1% sia nel 2020 che nel 2021. Il quadro, dunque, non sembra lasciare spazio a un eventuale aumento di risorse per la sanità.
Il quadro programmatico alza le stime sulla crescita economica all’1,5% nel 2019, 1,6% nel 2020 e 1,4% nel 2021 senza ancora però fornire dettagli sul quadro programmatico dei conti della pubblica amministrazione e dunque, anche, della spesa sanitaria. Le dichiarazioni di intenti contenute nella nota riconfermano le priorità per la sanità e per la nuova governance della spesa sanitaria ma non indicano ancora la riallocazione delle risorse e le coperture necessarie. Occorre attendere ancora l’approvazione della legge di Bilancio per il 2019 per documentare e analizzare le evoluzioni nell’assetto della governance della spesa sanitaria.