Alimentazione, malnutrizione, obesità e sprechi. Cambiare modello si può (e si deve)


Articolo
Eleonora Mazzoni

La Giornata Mondiale dell’Alimentazione (Gma) è stata istituita nel novembre del 1979 e si celebra ogni 16 ottobre, anniversario della fondazione della FAO nel 1945. In oltre 150 Paesi del mondo in questa giornata sono previste iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul problema della fame del mondo. Nella giornata della ricorrenza quest’anno la FAO ha sottolineato come, dopo un periodo di riduzione, la fame nel mondo sia di nuovo in aumento.

Sono 820 milioni le persone che soffrono di denutrizione cronica e gli eventi meteorologici estremi, la congiuntura economica negativa e le cattive abitudini alimentari che portano a sovrappeso ed obesità nei Paesi avanzati stanno rischiando di annullare i progressi fatti in termini di riduzione della fame e della malnutrizione. Nel rapporto “The state of food security and nutrition around the world 2018”, la FAO sottolinea che nel 2017 la prevalenza di un livello grave di insicurezza alimentare è in aumento in tutto il mondo rispetto ai livelli del 2014, con incrementi particolarmente significativi in Africa e in America Latina.

La percentuale di persone in stato di denutrizione, scesa dal 14,5% del 2005 al 10,6% del 2015, in due anni è aumentata nuovamente di 0,2 punti percentuali, tornando nel 2017 al 10,9%. Mentre le persone in stato di grave insicurezza alimentare sono sempre di più, 1,3 miliardi di uomini, donne e bambini sono in sovrappeso e 672 milioni risultano soffrire di obesità, con conseguenze altrettanto disastrose sulla stato di salute. Questo rende evidente la necessità di cambiare modello lungo tutta la catena alimentare. Dalla produzione alla distribuzione fino al consumo e alla conservazione. Adattarsi ai cambiamenti climatici implica modificare il modo in cui il cibo viene prodotto e trasformato affinché il nostro pianeta rimanga sano e in grado di produrre il cibo di cui la crescente popolazione avrà bisogno in futuro, razionalizzando il consumo, limitando le perdite e gli sprechi. Ognuno di noi, sottolinea la FAO, può contribuire al cambiamento del modello. È proprio questo infatti il tema di quest’anno: “Le azioni sono il nostro futuro. Un mondo #Fame Zero entro il 2030 è possibile”.

In occasione della Giornata del 16 ottobre anche in Italia è stato fatto un bilancio. Secondo una analisi della Coldiretti, sono 2,7 milioni le persone che in Italia durante l’ultimo anno sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nelle mense dei poveri o con pacchi alimentari. Il dato rischia di restare nascosto se si guarda solo a coloro che si sono serviti alle mense dei poveri. Più di 2,5 milioni sono le infatti le persone che hanno richiesto e utilizzato gli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea). Tra le categorie più deboli degli indigenti i bambini con età inferiore ai 15 anni, gli anziani sopra i 65 anni, migranti e senza fissa dimora.

Secondo la FAO più di 1/3 del cibo prodotto al mondo non viene consumato, viene buttato e perso. I costi globali legati agli sprechi ammontano a circa 2,6 trilioni di dollari l’anno comprensivi di costi ambientali e sociali. In Italia si gettano 100 grammi di cibo al giorno in media per famiglia, come emerge durante il Bologna Sustainability and Food International Award 2018. In un anno questo significa 36,92 kg di alimenti per un costo di circa 250 euro l’anno a famiglia. La grande distribuzione, dall’altro lato, produce 2,89 kg/anno di spreco alimentare per abitante: 55,6 gr a settimana e 7,9 gr al giorno. Il 35% potrebbe essere recuperabile a scopo alimentare.

Azioni che sembrano insignificanti, contribuiscono ad aggravare la situazione globale, aumentando gli sprechi, le risorse necessarie per smaltirli, l’energia consumata e vanificando gli sforzi per il cambiamento necessario ad aumentare la produzione di alimenti derivante dall’aumento della popolazione. Le nostre azioni sono il nostro futuro.

Direttore Area Innovazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Economia Politica presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza, con una tesi sperimentale sulla scomposizione statistica del differenziale salariale tra cittadini stranieri ed italiani.

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