La violenza basata sul genere attraversa confini e culture, può assumere forme diverse, ma interessa il mondo intero. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla fine del 2017, stimava che il 35% delle donne nel mondo (1 donna su 3) fosse stata vittima di violenza durante la sua vita. Per violenza di genere si intende “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata” (Dichiarazione ONU, adottata con risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993). La Convenzione di Instanbul, cui il nostro paese ha dato ratifica ed esecuzione nel 2013, ha rappresentato il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante a proporre un quadro normativo completo e integrato a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La giornata mondiale contro la violenza di genere (25 novembre) è, come ogni ricorrenza, “solo” un’occasione per divulgare, sensibilizzare ed informare. Serve a ricordarci che le vittime di violenza sono tante, che la violenza non è solo fisica o sessuale, che le conseguenze possono essere anche psicologiche e comportamentali, quando non mortali. Il supporto a una vittima di violenza deve essere integrato, dall’assistenza sanitaria e psicologica a quella legale, sociale e reintegrativa. E’ una assistenza complessa per la quale davvero il binomio “politiche integrate” deve funzionare nella realtà e non restare solamente una promessa.
Gli strumenti esistono già e dunque, piuttosto che introdurre nuove norme favorendo l’effetto cipolla spesso prediletto dall’ordinamento italiano, serve assicurare che essi siano sempre efficaci. Il primo cambio di passo importate è stato compiuto con la legge numero 154 del 2001 che introdusse l’obbligo di allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento. Con la legge 38 del 23 aprile 2009, è stato poi introdotto il reato di atti persecutori (stalking), che secondo l’esperienza sono preludio di fatti criminali più gravi. Nel 2013 è intervenuta la già citata legge di ratifica della Convenzione di Istanbul che, per la prima volta, qualifica la violenza di genere come violazione dei diritti umani. In ultimo, soprattutto, la legge 119 del 15 ottobre 2013 ha adottato un Piano straordinario con l’implementazione economica per i centri antiviolenza e le case rifugio. Questa stessa legge prevede già che nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi sia assicurata la priorità assoluta ai reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo.
Una ricerca svolta dall’Ipsos per il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con un focus sulla violenza di genere, conferma una discreta sensibilità dell’opinione pubblica sulla violenza contro le donne ma evidenzia anche come il 71% delle 1.300 persone intervistate (16 – 70 anni) non sia a conoscenza degli strumenti e delle misure adottate dallo Stato per combattere il fenomeno. Ne siano a conoscenza o meno, il 75% del campione li considera poco o per nulla efficaci. E’ interessante sottolineare come tra gli strumenti di contrasto alla violenza ritenuti più adatti, oltre a quelli di protezione e di garanzia dei diritti, compaiano anche misure di supporto economico. Proprio le donne citano maggiormente (nel 40% dei casi) l’importanza dell’indipendenza economica femminile, vista sia come freno alla denuncia, qualora sia assente, che come leva di contrasto alla violenza, qualora sia raggiunta. L’opinione delle persone non sorprende, la nostra è un’Italia ancora fortemente caratterizzata da disuguaglianze di genere negli ambiti di lavoro, famiglia, istruzione e accesso alle posizioni apicali. E questo trapela anche nella ricerca Ipsos: l’Italia sembra essere giudicata un Paese in grado di garantire eguale accesso ad istruzione (67%) e cure (66%) a uomini e donne, ma incapace di garantire uguaglianza di genere per quanto riguarda l’accesso al lavoro (27%), e il conseguimento di una giusta remunerazione per il lavoro svolto (27%).
“Gran parte della disuguaglianza corrente deriva da imperfezioni presenti nei mercati. Molte di esse sono state creati dall’azione di governo e potrebbero essere rimosse dall’azione del governo” (M.Friedman e R.Friedman, 1982, “Capitalism and Freedom” p. 176)”