L’intervento di Gianluca Sgueo, autore del libro sulla gamification dal titolo “Ludocrazia. Quando il gioco accorcia le distanze tra governo e cittadini” (edito da Egea). Il volume sarà presentato martedì 18 dicembre presso la sede dell’Istituto per la Competitività: all’evento parteciperanno la giornalista del Tg1 Barbara Carfagna, il commissario Agcom Antonio Nicita, il direttore della School of Government della Luiss Giovanni Orsina ed Enrica Sabatini dell’Associazione Rousseau. Il dibattito – introdotto dal presidente I-Com Stefano da Empoli – sarà moderato dal direttore della comunicazione dell’istituto Andrea Picardi.
Cominciamo dalla fine, una tra le tante possibili di questa storia. Siamo in Cina, sul finire degli anni Novanta. Un gruppo di ricercatori dell’Accademia Nazionale delle Scienze è al lavoro su un progetto ambizioso: creare un sistema di controllo diffuso della società. La Cina è già uno Stato autoritario, ma il nazionalismo, la repressione e il partito unico – da soli – non bastano. Il regime ha bisogno di un sistema efficace per garantire il rispetto totale e incondizionato dell’intera popolazione alla dottrina totalitaria.
Le tecnologie dell’epoca, tuttavia, non consentono ancora un risultato simile. Passeranno dieci anni prima che il governo possa avviare una sperimentazione del progetto. Siamo nel 2010, nella municipalità di Suining. I residenti che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età sono i primi a testare il sistema di credito sociale. L’esperimento misura i comportamenti individuali. Premia i virtuosi e punisce chi non rispetta le regole del vivere civile. Vi prendete cura di un familiare anziano? Cinquanta punti per voi. Vi arrestano per guida in stato di ebbrezza? Avete perso cinquanta punti. I cittadini di fascia A ottengono la priorità all’accesso a tutti i servizi sociali. Per i cittadini di fascia D, invece, ottenere licenze e autorizzazioni può richiedere tempi molto superiori alla media. Accedere ai servizi pubblici essenziali è più difficile, o più costoso Viaggiare fuori dal Paese può divenire impossibile.
I risultati del test sono soddisfacenti. Nel 2014 il governo cinese approva la nazionalizzazione del progetto. Vi ricorda qualcosa il sistema di credito sociale? Pensateci. C’è un governo che misura l’impegno civico dei propri cittadini e lo quantifica in un punteggio; poi lo rende noto a tutti e, sulla base di quello, assegna premi o penalità. I vincitori vengono celebrati (e i perdenti biasimati) pubblicamente. Cittadini trasformati in concorrenti involontari di un gioco, una “allucinazione di massa, vissuta consensualmente”, come quella di cui parla William Gibson, il padre del cyberpunk.
Possiamo pensare al governo, all’impegno civico, come una competizione, un gioco a premi? In Cina, lo avete visto, accade già. Attenzione però: non deve essere necessariamente uno scenario apocalittico e liberticida come quello cinese. Un’altra tra le storie possibili ha un volto più umano. A Santa Monica, per esempio, dove i residenti esprimono il proprio gradimento sulle varianti urbanistiche che l’amministrazione cittadina vorrebbe introdurre nei quartieri presso cui abitano, scorrendo a destra o sinistra sullo schermo dei propri smartphone. Lo fanno tramite un’applicazione molto simile a quella ideata per incontrare l’anima gemella: Tinder. Oppure a New York, dove i ciclisti che usano le biciclette messe a disposizione dall’amministrazione cittadina ricevono punti quando compiono azioni che un algoritmo giudica “virtuose”: depositare, ad esempio, il veicolo presso una delle stazioni di sosta con la domanda più elevata, durante l’ora di punta. Anche i bolognesi, per due anni, hanno avuto la possibilità di cumulare punti – da riscattare successivamente in piccoli premi – utilizzando il trasporto pubblico urbano e consentendo al Comune di raccogliere dati preziosi sulla mobilità, allo scopo di migliorarla.
Il gioco come strategia di governo, quindi, utile a raccogliere informazioni o fondi, mobilitare l’opinione pubblica, legittimare l’attività di chi riveste incarichi pubblici. Gli esempi non mancano. La Nasa, nel 2013, ha lanciato la “Asteroid Grand Challenge“, raccogliendo le proposte – oltre settecento – di milleduecento partecipanti su come individuare asteroidi potenzialmente dannosi per il pianeta Terra. Ha poi fatto uso delle proposte migliori per sviluppare un algoritmo. Quest’ultimo ha aumentato di quindici punti percentuali le possibilità di individuare nuovi asteroidi orbitanti intorno Marte e Giove. Il tutto al costo di circa duecentomila dollari – meno di quanto sarebbe costato assumere un ingegnere per sviluppare lo stesso algoritmo. Con “Draw the World” il Consiglio d’Europa mira a diffondere la conoscenza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – in questo caso i giocatori devono disegnare una mappa basandosi sul rispetto dei diritti umani nelle varie regioni del globo. La Banca Mondiale ha raccolto idee sullo sviluppo sostenibile da tutto il mondo attraverso una simulazione su livelli, a progressione settimanale, durante la quale i partecipanti erano coinvolti nell’ideazione di soluzioni a problemi di regolazione, oltre che alla diffusione delle informazioni sull’operato dell’istituzione.
Veniamo alla fine delle nostre storie. L’uso di incentivi ludici come strategia di governo offre una soluzione fresca ai regolatori pubblici e – contestualmente – crea problemi inediti. Eccone una sintesi:
1. Fino a che punto è eticamente ammissibile uno Stato che incentiva comportamenti ottimali attraverso elementi di gioco? Un regolatore pubblico che sollecita un comportamento collettivo in modo volutamente non trasparente non agisce eticamente, sostengono i critici. Si risponde sostenendo che, in realtà, non si priva nessuno della libertà di scelta. Ed è vero. In teoria, il pubblico sollecitato ad adottare un comportamento può scegliere liberamente soluzioni diverse. Il fatto è che se ciò avvenisse – se cioè il pubblico adottasse un comportamento diverso da quello incentivato – si tratterebbe, almeno dal punto di vista del regolatore, di un fallimento.
2. Gli incentivi ludici garantiscono il risultato sul lungo periodo? Tipicamente, la risposta alla novità è positiva. Ma le politiche pubbliche hanno bisogno di stabilità e durata. Soluzioni creative non sono sempre e necessariamente soluzioni destinate a durare.
3. Quanto costa innovare? Secondo alcuni l’innovazione porta al risparmio di tempi e costi, in termini di risorse umane e materiali. È senz’altro corretto, a patto che si tengano in considerazione i costi di avvio e sperimentazione, formazione del personale, e in alcuni casi anche i costi del fallimento dell’innovazione.
4. La gamification è inclusiva? Non necessariamente; anzi, spesso non lo è affatto. La maggior parte di queste forme di sperimentazione si basa su strumenti digitali, accessibili dunque soltanto a determinate fasce di popolazione, in alcune zone geografiche e in possesso di un livello di alfabetizzazione digitale superiore alla media. Sono dunque spesso esclusi gli anziani, le persone con basso livello di istruzione o reddito ridotto.
5. La ludicizzazione tutela la riservatezza dei dati personali? Nulla affatto. Al contrario, per funzionare questo genere di sperimentazioni hanno bisogno di un numero consistente di dati. Questi sono necessari ai governi per comprendere se l’innovazione funziona, e soprattutto per introdurre i correttivi necessari alle politiche pubbliche. Ai cittadini però si offrono poche garanzie di riservatezza.