Il futuro della data economy dopo la Brexit


Articolo
Giusy Massaro

La dimensione della cosiddetta data economy dipende in maniera imprescindibile dall’accessibilità, dall’utilizzabilità e, soprattutto, dalla libera circolazione dei dati. È quest’ultimo, infatti, il caposaldo su cui si basa il regolamento dell’Unione Europea adottato nel settembre 2017, che mira ad abbattere le barriere al flusso dei dati tra Stati membri allo scopo di sviluppare una data economy competitiva nell’ambito del Mercato unico digitale.

Secondo i più recenti dati dell’International Data Corporation (Idc), il Regno Unito rappresenta il mercato dei dati più grande all’interno dell’Unione europea, con un valore di 14,6 miliardi di euro[1], pari al 22,4% dell’intero mercato dei Paesi membri. Data questa premessa, non stupisce che si guardi con ulteriore apprensione ai recenti accadimenti relativi alla trattativa post Brexit.

Senza un accordo di adeguatezza, le società con sede nel Regno Unito non avrebbero alcun diritto sui dati detenuti all’interno dell’Unione e dovrebbero fare affidamento su altri meccanismi per mantenere accesso a tali informazioni. Un affare non da poco se si considera che attualmente tre quarti dei flussi di dati internazionali del Regno Unito sono da e verso i Paesi dell’Ue. Inoltre, i dati riguardano tutti gli scambi di beni e servizi, nonché altre attività e relazioni personali. Le stime suggeriscono che circa il 43% di tutte le grandi aziende digitali europee sono state avviate nel Regno Unito[2]. Alla luce di questi fattori, è facile intuire quanto qualsiasi interruzione dello scambio di dati transfrontaliero risulterebbe economicamente onerosa. E questo è vero tanto per il Regno Unito quanto per l’Unione. Stando ad un’analisi condotta sui flussi di dati tra Ue e Usa, qualora lo scambio di dati fosse interrotto, il prodotto interno lordo dell’Unione Europea potrebbe subire un calo compreso tra lo 0,8 e l’1,3%. Non solo, l’Idc afferma che, in tal caso, il mercato europeo dei dati ne risentirebbe in termini di crescita, stimando tassi inferiori nel caso in cui il vecchio continente non potesse più fare affidamento sullo scambio di dati attualmente esistente con il Regno Unito. Le differenze sono contenute se si guarda al breve periodo, ma potrebbero diventare più significative in quello medio-lungo, con una crescita di circa un punto percentuale inferiore. Limitare la libera circolazione dei dati tra Paesi di certo non avvantaggerebbe nessuna delle due economie. Senza dimenticare che la condivisione dei dati è essenziale anche per una più ampia cooperazione nella lotta contro il terrorismo.

Sarebbe dunque nell’interesse sia del Regno Unito che dell’Unione Europea riconoscere i reciproci quadri di data protection come base per un costante e libero scambio di dati tra le due parti al fine di evitare l’incertezza normativa per imprese e autorità pubbliche in entrambi i territori. Le aziende in particolare potrebbero pensarci due volte prima di scegliere il Regno Unito come sede delle proprie attività. E, peggio ancora, quelle già attive sul territorio potrebbero optare per un trasferimento altrove. Il che non è solo un timore ma, purtroppo, già una realtà: è di solo qualche giorno fa la notizia che Sony, uno dei colossi tecnologici giapponesi, ha scelto di spostarsi dalla Gran Bretagna all’Olanda, seguendo Panasonic che già ad ottobre aveva annunciato la stessa mossa.

Insomma, sembra chiaro a tutti che mantenere il flusso di dati digitali tra la Gran Bretagna e l’Ue è fondamentale per i piani post-Brexit. Eppure i funzionari britannici e dell’Unione devono ancora avviare la discussione su come tali flussi di dati continueranno ad esserci dopo che il Regno Unito avrà concluso la procedura di abbandono. Se è vero che nessuna delle due parti ha iniziato a negoziare un accordo di adeguatezza che manterrebbe libero accesso alle informazioni digitali, dal canto loro, i funzionari europei affermano che il Regno Unito non ha ancora definito ciò che vuole da tale accordo e che discussioni di questo tipo dovranno attendere fino a quando non sarà chiarito in che modo il Regno Unito lascerà l’Unione. Tantomeno è chiaro chi, per l’una e l’altra parte, guiderà la trattativa quando si deciderà finalmente che i tempi sono maturi.

[1] Valore riferito al 2017

[2] HM Government, “The exchange and protection of personal data A FUTURE PARTNERSHIP PAPER”

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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