La Germania vanta senza dubbio la maggiore industria in Europa e ha uno tra i più solidi comparti manufatturieri del mondo. Se guardiamo ai dati Eurostat, emerge chiaramente come nel Vecchio continente sia la prima industria per volumi: più di un quarto del valore della produzione industriale dell’Unione Europea è dovuto all’apporto teutonico (il 28%, seguono Italia e Francia, rispettivamente con il 16% e il 12%). Allo stesso modo, la Germania si distingue per dimensione del manifatturiero a livello globale, oltre a mostrare eccellenze in numerosi comparti. Insieme a Cina, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, è tra gli Stati con più elevata produzione manifatturiera, anche in rapporto al prodotto interno lordo.
Nonostante queste performance di primo piano, forse complice anche il calo della produzione registrato negli ultimi mesi, Berlino non rinuncia a ripensare il proprio sistema produttivo. Anzi, rilancia la sfida. Il ministro tedesco dell’Economia e dell’Energia Peter Altmaier ha recentemente presentato la bozza della Strategia per l’industria nazionale 2030, che sarà vagliata dal Parlamento, dalle imprese, dai sindacati e dagli esperti. Si tratta di un documento che sta facendo molto discutere, soprattutto per il presunto recupero di strumenti protezionistici che si inserirebbero nel mutato clima geoeconomico globale, fatto di restrizione degli scambi commerciali e tutela dell’industria nazionale. In particolare, Altmaier immagina di creare un fondo pubblico di investimenti che possa rilevare temporaneamente (quindi escludendo una nazionalizzazione di lungo termine) quote di capitale di imprese tedesche di carattere strategico, per evitare che siano acquisite da soggetti esteri.
Si considerano strategiche le aziende operanti in settori produttivi quali l’aerospazio, la difesa, l’automotive, la chimica, la siderurgia, l’ottica, le tecnologie ecologiche, la stampa 3D e l’Intelligenza artificiale. Questo fondo sovrano anti-takeover sarebbe un ulteriore tassello dell’attività tedesca di protezione dei campioni nazionali e di contrasto alle azioni predatorie di parte cinese e statunitense. Come ricostruisce il Sole 24 Ore, nel mese di dicembre il governo teutonico ha approvato un progetto di legge che amplia i poteri statali di monitoraggio e blocco di acquisizioni. Questi possono essere adoperati qualora un concorrente extra-Ue volesse prendere il controllo di più del 10% delle quote di aziende strategiche nazionali (la soglia precedente si fermava al 25%). Già nel mese di luglio, la KfW (un soggetto simile all’italiana Cassa Depositi e Prestiti) aveva acquisito il 20% di 50Hertz, un attore del mercato di distribuzione dell’energia, per prevenire le mosse di un gruppo statale cinese. E ancora ad agosto, il governo aveva fermato la scalata della Leifeld Metal Spinning, un’azienda tedesca specializzata in macchinari per aerospazio e industria nucleare, ad opera di Yantai Taihai, un altro gruppo cinese.
Forse non è un caso che testate giornalistiche di diretta emanazione del governo del Dragone segnalino come “controverso” il piano industriale tedesco. Tuttavia, non è solo dalle mire orientali che la Germania pensa di difendere i propri campioni (su tutti, le case automobilistiche, Siemens, Thyssenkrupp, Deutsche Bank), ma – parola di Altmaier – anche dai fondi di venture capital americani.
Ciononostante, al governo di Berlino appare chiaro come anche la propria dimensione sia inadeguata ad affrontare la competizione globale. “Size matters”, avverte la Strategia industriale della Germania. Un richiamo che parla anche al sistema produttivo italiano, dove ancora si sente l’eco del piccolo è bello. In questo ambito, Altmaier richiede una modifica alle regole antitrust continentali, in modo da consentire la formazione di campioni industriali europei, con la taglia necessaria a poter confrontarsi con i competitor asiatici e statunitensi. Un tema di grande attualità, vista la vicenda Siemens-Alstom, e su cui la Germania sa di poter fare sponda con le istituzioni francesi.
Nondimeno, la proposta tedesca non si può ridurre alla creazione del fondo sovrano anti-scalate. Bensì, ci si pone l’obiettivo di elevare entro il 2030 la quota dell’industria al 25% del prodotto interno lordo (attualmente si attesta al 23,4%), investendo nell’innovazione e nel digitale. Si intende anche contrastare i fenomeni di deindustrializzazione in atto in diversi Paesi europei, portando al 20% il peso dell’industria continentale sul pil aggregato. Nel complesso, il governo tedesco vede ridurre i propri margini di competitività, anche di costo, nel mercato globale e prova a rinnovare la propria visione di sviluppo industriale nel prossimo decennio, indicando i campi su cui è più proficuo scommettere. Per questo si propone di ridimensionare il prezzo dell’energia, particolarmente significativo per alcuni comparti, la tassazione sulle imprese e la quota di contribuzione sociale sul costo del lavoro, da tenere sotto il 40%. Tra i settori su cui si concentra la politica industriale teutonica, invece, spiccano la mobilità elettrica e l’intelligenza artificiale.