E’ necessario riqualificare le competenze dei lavoratori per sfruttare appieno tutte le potenzialità della quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo e di cui l’Intelligenza artificiale rappresenta l’elemento costitutivo. Il dibattito sugli effetti che queste automazioni potrebbero avere sul mondo del lavoro è intenso e va avanti da tempo: da un lato c’è chi ne coglie il cambiamento con entusiasmo ma dall’altro non mancano i critici che si concentrano soprattutto sulle conseguenze negative di questa evoluzione che necessita di una collaborazione tra il settore pubblico e quello privato. Secondo lo Us bureau of labour statistics – l’unità del dipartimento del Lavoro americano che si occupa di statistiche nel campo dell’economia e del lavoro – sarebbero quasi 1,4 milioni i lavoratori statunitensi che rischiano di essere rimpiazzati da forme di automazione basate sull’Intelligenza artificiale nell’arco del prossimo decennio. A meno che non si investa nel loro reskilling. Ma a quale costo? E’ questo il tema centrale dell’ultimo rapporto dal titolo “Towards a Reskilling Revolution. Industry-Led Action for the Future of Work” curato dal World Economic Forum (Wef), in collaborazione con il Boston Consulting Group, e presentato lo scorso 22 gennaio durante l’annuale meeting di Davos. Lo studio arriva dopo una fase di ricerca iniziale che ha portato alla redazione di un primo report nel 2018 dal titolo “Towards a Reskilling Revolution: A Future of Jobs for All” che ha individuato un metodo per identificare le molteplici opportunità in un mondo del lavoro in continuo cambiamento.
CHI SOSTERRA’ IL COSTO DEL RESKILLING
Seppur necessaria, l’introduzione delle tecnologie basate sull’Intelligenza artificiale comporterà alti costi per il reskilling dei lavoratori. Il rapporto del World Economic Forum stima che saranno quasi un milione e mezzo coloro che dovranno riqualificare le loro competenze (upskilling) per rimanere competitivi sul mercato del lavoro ed evitare di essere sostituiti da personale più giovane e con skills al passo con i tempi. La ricerca, che prende in analisi la sola economia Usa, prevede che il costo della riqualificazione del personale potrebbe ammontare a circa 34 miliardi di dollari (oltre 24.000 dollari per lavoratore) e che peserà sulle finanze pubbliche per l’86%.
LA SOLUZIONE PROPOSTA DAL WORLD ECONOMIC FORUM
La proposta contenuta nello studio si basa su tre pilastri e consentirà di distribuire il costo della riqualificazione del personale su soggetti diversi. La spesa dunque non impatterà solo sulle finanze del settore privato, ma sarà sostenuta anche dallo Stato. Come dichiarato dalla managing director del World Economic Forum Saadis Zahidi: “Nella nostra visione, è necessario applicare una combinazione di tre tipi di investimenti: le imprese dovrebbero cooperare in modo da poter sfruttare le economie di scala e abbassare i costi del reskilling; il governo e i contribuenti dovrebbero prendere in carico i costi, che figurerebbero come dei veri e propri investimenti sociali. Da ultimo, è necessaria una collaborazione tra pubblico e privato“. Se si considera solo il settore privato, un investimento di circa 4 miliardi e mezzo ridurrebbe del 25% il numero di lavoratori a rischio disoccupazione (circa 350.000). Collaborando con altre imprese e sfruttando le economie di scala, il reskilling diventerebbe ancor più vantaggioso: il 45% dei lavoratori a rischio sarebbe riqualificato. Per quanto riguarda le prospettive del governo, il gettito fiscale derivante dai salari più alti e da una riduzione dei costi sociali garantirebbe un ritorno dell’investimento (quasi 20 milioni di dollari) e oltre il 75% dei dipendenti in esubero verrebbero recuperati.
CHI HA GIA’ COMINCIATO AD INVESTIRE
Inoltre, lo studio riporta numerosi esempi pratici di realtà che hanno già cominciato a investire in attività di reskilling. Un esempio è Walmart, la multinazionale americana che si occupa di vendita al dettaglio e che ha inserito tra le sue priorità la necessità di trasformare la sua forza lavoro per soddisfare le nuove esigenze create dall’integrazione e dall’uso di nuove tecnologie. Nel 2016, ha lanciato il Walmart Academy Programme per formare collaboratori in aree che comprendono capacità di vendita al dettaglio avanzata e leadership. Con l’introduzione di nuove tecnologie come parte del programma di formazione (tablet, realtà virtuale, giochi di simulazione virtuali ed altri), Walmart è riuscita a fare dei suoi programmi un’opportunità molto attraente per i dipendenti. Basti pensare che in soli due anni sono stati formati oltre 270.000 lavoratori. Un altro caso è quello del Lloyd Bank Group, fornitore inglese di servizi finanziari. Nel 2018, con un investimento di oltre 3 miliardi di sterline in tre anni, ha lanciato una strategia incentrata su quattro pilastri. Uno di questi ha lo scopo di trasformare la banca in modo da renderla in linea con le nuove skills richieste nel campo dei servizi finanziari. Il gruppo ha inoltre previsto di offrire in totale ai propri dipendenti 4,4 milioni di ore di lezioni per aiutarli ad apprendere e fortificare nuove competenze nell’arco di tre anni.