L’11 febbraio si è celebrata la Giornata mondiale dell’Epilessia.
L’Epilessia è una malattia cronica non trasmissibile del cervello, in grado di colpire persone di tutte le età. Questo problema di salute, che affligge 50 milioni di persone in tutto il mondo, porta inoltre a stigmatizzazione e discriminazione di chi ne è affetto e delle loro famiglie[1]. Secondo quanto riportato dall’Istituto superiore di sanità (Iss)[2], in Italia è presente una prevalenza compresa tra il 3,3 e il 6,2 per mille. Si tratta di una patologia capace di compromettere la qualità della vita del paziente, riducendo le opportunità sociali di chi ne è affetto, e dando origine a problemi d’ansia e di depressione.
La patologia spesso è difficile da controllare: il 50-60% dei pazienti presenta una o più crisi al mese e il 25-30% di loro non risponde ai farmaci. Secondo quanto riportato da Quotidiano Sanità, in Italia sono presenti 500.000 persone affette e il problema riguarda tutte le età: le crisi epilettiche possono esordire durante l’infanzia, in quanto anche ereditarie, e scomparire con gli anni. Allo stesso tempo i soggetti anziani possono presentare fattori di rischio, quali ipertensione arteriosa o lesioni cerebro-vascolari che possono condurre alla loro comparsa.
Abbattere pregiudizi e disinformazione costituisce un obiettivo fondamentale nella lotta alla stessa patologia. L’Ansa riporta che “#Epilessianonmifaipaura è lo slogan proposto dalla community di Facebook e scelto dalla Lega italiana contro l’epilessia (Lice), che intende sottolineare la necessità di colmare il gap tra le persone con epilessia e quelle che, non conoscendo la malattia, nutrono ancora pregiudizi”. Tra le iniziative intraprese nella lotta contro questa patologia, ricordiamo l’impegno dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che attraverso il progetto “La scuola non ha paura delle crisi” ha formato oltre 1300 insegnanti, operatori scolastici e studenti[4]. E poi, ancora, gli sforzi dell’Istituto superiore di sanità che, attraverso il progetto MASTERY (MultidimensionAl STudy of hEalth and buRden in epilepsY) tiene in considerazione non solo gli aspetti epilettoidi dei pazienti, ma la loro qualità della vita, salute fisica, mentale e gli sforzi delle loro famiglie.
Valutare tutti gli aspetti della vita dei malati – focalizzandosi non solo su quello farmacologico, ma tenendo in considerazione l’aspetto sociale e la qualità della vita – può contribuire alla programmazione di un’assistenza sanitaria che pone al centro il paziente e non la patologia, favorendo l’erogazione di servizi maggiormente personalizzati e risultati migliori.
[2] Istituto Superiore di Sanità, Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, Volume 31, Numero 2, Febbraio 2018