Conversazione con il filosofo, giornalista, scrittore e autore Bruno Mastroianni e con la sociolinguista Vera Gheno, autori del libro “Tienilo acceso: posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”, edito da Longanesi.

Le parole sono importanti. Soprattutto se condivise con un gruppo di persone potenzialmente infinito. Una verità ancor più incontestabile quando parliamo di piattaforme social. La rete ha cambiato i rapporti interpersonali, ha accorciato le distanze tra noi e l’altro e ci pone ogni giorno davanti a ciò che è diverso. E allora come gestire il flusso di informazioni – e la disinformazione – che quotidianamente ci circonda? Ne abbiamo parlato con Bruno Mastroianni e Vera Gheno, autori del libro “Tienilo acceso: posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”. Un vademecum dei giorni nostri, in cui la rete e Internet sono considerati strumenti che, se usati consapevolmente, ci permettono di vivere felici e connessi.
Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
L’esigenza è stata di rendere noto un discorso che non si ferma soltanto ai luoghi comuni. Di fronte ai pericoli dell’iper-connessione in cui viviamo, talvolta sembra che l’unica soluzione sia quella di spegnere. Invece, secondo noi lo spegnere serve in alcuni casi nella vita, ma dopo c’è bisogno di un’educazione all’online. Abbiamo pensato a un libro concreto in grado di parlare a chi non è esperto, al cittadino comune.
Cosa vuol dire “Tienilo acceso”?
La nostra è stata una risposta all’idea semplicistica che l’esperienza online finisce nel momento in cui noi spegniamo il nostro cellulare. Bisogna invece coltivarla perché ormai rappresenta una dimensione della vita quotidiana, che riguarda tutti, sia gli addetti ai lavori che i non. Anzi, dobbiamo prenderla in considerazione e cominciare, ognuno al suo livello, a fare un po’ di educazione: pensiamo agli ambienti di lavoro in cui ormai la connessione è un elemento fondamentale. Di fronte a tutto questo noi abbiamo fatto un ragionamento che parte dall’idea che dal momento in cui io “accendo”, devo stabilire che tipo di vita, di presenza e di relazioni voglio ottenere attraverso la connessione.
Bisogna costruire una cultura delle relazioni digitali. Se “spegnere” non è la soluzione, come possiamo gestire una vita costantemente tra l’online e l’offline?
Ci sono diversi passaggi. Il primo è superare l’idea che ci sia una dicotomia tra l’online e l’offline. In questo modo manchiamo il bersaglio perché la nostra vita è un continuo mix di connessione e disconnessione. Bisogna dare significato alle proprie azioni e capire quando è opportuno agire nella vita fisica e quando in quella “connessa”. Il secondo passaggio è capire che quando siamo connessi, tutti diventiamo dei “piccoli personaggi pubblici”: ciò che facciamo online è sempre un atto di comunicazione che ha una dimensione pubblica maggiore di quella che avrebbe un’azione fisica.
Che ruolo hanno le parole quando ci troviamo online?
Bisogna diventare consapevoli e padroneggiare questi strumenti di comunicazione pubblica che la maggior parte delle volte sono fatti in forma scritta. Le parole rimangono lo strumento fondamentale. Ognuno di noi non è soltanto fruitore del dibattito pubblico, ma è anche un cittadino che partecipa attivamente all’informazione degli altri. Con i nostri commenti, con i like e con le condivisioni abbiamo attorno una certa influenza – positiva o negativa – che diffondiamo attraverso quello che segnaliamo agli altri. Dobbiamo allora essere consapevoli di avere un livello di partecipazione all’informazione molto più incisivo.
Spesso le parole sono usate in modo inappropriato. Perché ognuno si sente libero di esprimere il proprio risentimento verso qualcosa o qualcuno online?
Noi parliamo di ciò che succede nel mondo in uno stato di continua discussione con gli altri. La connessione ci pone ripetutamente davanti alle differenze con i nostri interlocutori e rende necessaria la ricerca di un modo di costruire le relazioni con gli altri affrontando questi elementi di diversità. Per questo proponiamo la possibilità della cosiddetta “disputa felice”, ossia l’idea che si possa dissentire, essere diversi, senza necessariamente arrivare allo scontro. Nella dimensione della comunicazione online, è possibile trovare una strada per far convivere le differenze in un dialogo in cui il dissenso viene valorizzato.
Oltre agli strumenti previsti dalle diverse piattaforme social e dalla politica, cosa possiamo fare noi, in prima persona, per tutelarci dalle fakenews?
Noi ci siamo posti la questione da un punto di vista molto preciso, quello del cittadino mediamente informato. Proponiamo un ragionamento completamente opposto a quello che suggerisce di tenere sotto controllo l’attendibilità delle informazioni (che a volte risulta impossibile). Bisogna invece riconoscere il limite di ciò che si sta leggendo e porsi una serie di domande per capire se manca qualcosa. Già solo l’idea che un cittadino sia in grado di farsi venire un dubbio, per noi è un ottimo risultato.
Si tratta di un problema di contenuti oppure deve cambiare totalmente l’approccio a questo tipo di notizie?
Il problema che abbiamo oggi non riguarda solo la disinformazione nei contenuti, ma l’atteggiamento del cittadino medio che in modo superficiale dà per buone le cose troppo facilmente, le condivide e con questo propaga ulteriormente la disinformazione. Noi abbiamo fatto un ragionamento secondo cui ciascuno, con il suo smartphone in mano, mentre sta in metropolitana, possa gestire le informazioni che spesso gli sono state segnalate da qualcun altro, magari di cui si fida. La nostra proposta è concreta e possibile proprio perché non si basa sul fact checking, sul controllo, ma sulla necessità di fermarsi un attimo di fronte ai limiti e aspettare prima di esprimere la propria opinione. Di solito questo è sufficiente.
Anche la politica ha scelto di comunicare attraverso i social. Quali sono i vantaggi?
Il vantaggio è sicuramente la disintermediazione, l’idea che si possa raggiungere il pubblico in forma diretta, senza dover passare per il tramite dei classici strumenti di comunicazione (giornalisti, testate giornalistiche e televisive). E’ chiaro che per il professionista politico poter parlare direttamente ai suoi elettori e ai suoi sostenitori e, addirittura, agli avversari, crea un certo vantaggio comunicativo.
Ci sono dei rischi invece?
Il rischio invece è di utilizzare in modo manipolatorio e propagandistico questa modalità di comunicazione. Il mezzo però potenzia questo pericolo, non lo crea. E’ una scelta precisa della comunicazione politica che, diciamocelo, viene da lontano, non è venuta con internet. E’ chiaro però che la connessione e la rete hanno contribuito a far esplodere ancora di più questo modo di comunicare. Per questo abbiamo bisogno di un cittadino ancora più consapevole che fin da piccolo sia abituato a gestire questi spazi. Oggi non basta più l’alfabetizzazione classica, si deve pensare all’alfabetizzazione digitale per evitare di essere costantemente manipolati da sistemi di comunicazione che sono più grandi di noi.
Quindi da un’accurata alfabetizzazione digitale deriva la partecipazione attiva del cittadino?
Spesso parliamo di difendersi dalle manipolazioni. Noi nel libro sosteniamo che non basta più l’idea del cittadino che si difende dalle manipolazioni. E’ vecchia. Passata. Il cittadino era “il” pubblico. Se lo schema diventa a rete e il cittadino è partecipante, non basta l’atteggiamento di difesa, ma serve un atteggiamento di costruzione. Le persone devono costruire i significati della loro vita online, delle loro relazioni e dei loro percorsi di informazione. Allora si potrà partecipare attivamente. Crediamo che oggi il piccolo difetto nella partecipazione derivi dalla mancata costruzione della propria presenza online.