E’ stato inserito all’ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni del 7 marzo il decreto del ministero della Salute che stabilisce il riparto complessivo di 36 milioni di euro. La somma, destinata a nove regioni (Lazio, Piemonte, Puglia, Lombardia, Emilia Romagna, Sicilia, Veneto, Umbria e Campania), ha come obiettivo la sperimentazione della cosiddetta farmacia dei servizi per il triennio 2018-2020. Si tratta dell’ultimo step per l’avvio delle prestazioni professionali e delle funzioni assistenziali previste dal decreto legislativo numero 153 del 2009 e dai decreti attuativi degli anni successivi.
Il modello della farmacia dei servizi è stato introdotto in Italia dalla legge numero 69 del 18 giugno 2009 (articolo 11) che ha delegato il governo all’emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati all’individuazione di nuovi servizi a forte valenza socio-sanitaria erogati dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Il decreto legislativo del 3 ottobre 2009, numero 153 e i decreti ministeriali attuativi hanno poi indicato la tipologia di prestazioni e le attività delle farmacie di comunità, in seguito configurate come “strutture di servizio”. In sostanza è stato formalizzato e rafforzato un nuovo ruolo della farmacia, intesa non solo come luogo specifico e privilegiato di erogazione dei farmaci, ma anche come centro polifunzionale di prestazioni al servizio della comunità.
I nuovi compiti e le funzioni assistenziali previsti per le farmacie sono molti:
- partecipano al servizio di assistenza domiciliare integrata (Adi) a supporto delle attività del medico di medicina generale (Mmg) o del pediatra di famiglia (Pdf);
- collaborano alle iniziative finalizzate a garantire il corretto utilizzo dei medicinali prescritti e il relativo monitoraggio nonché l’aderenza alle terapie;
- erogano servizi di primo e secondo livello, tra cui prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell’ambito dell’autocontrollo;
- si occupano inoltre della prenotazione delle prestazioni specialistiche, del pagamento delle relative quote di partecipazione alla spesa a carico del cittadino e del ritiro dei referti relativi a prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e dell’erogazione di specifiche prestazioni professionali.
Il contributo della farmacia dei servizi alla sostenibilità del Ssn consiste nella possibilità di ridurre sprechi e inefficienze, migliorare il sottoutilizzo di prestazioni sanitarie efficaci e appropriate, in particolare favorendo l’aderenza terapeutica nei pazienti cronici e gli interventi di prevenzione. E ancora contribuirà a ridurre le complessità amministrative e al miglioramento del coordinamento dell’assistenza tra vari setting assistenziali, in particolare tra ospedale e cure primarie.
A livello regionale e provinciale esiste comunque una grande variabilità nelle modalità di applicazione delle norme vigenti e spesso i costi sono a carico dei cittadini. L’Osservatorio nazionale sulla farmacia dei servizi istituito presso la scuola Altems dell’Università Cattolica evidenzia come l’81% dei farmacisti fornisca i nuovi servizi, ma solo nel 7% dei casi le prestazioni erogate sono remunerate esclusivamente dalle regioni. A farsi carico del servizio sono direttamente le farmacie se in grado di avvalersi di contributi esterni, mentre nel resto dei casi a pagare le prestazioni sono i clienti. Infatti, nonostante la legge sulla farmacia dei servizi risalga ormai a quasi dieci anni fa, prima d’ora non aveva mai trovato concreta attuazione per le prestazioni in regime di Servizio sanitario nazionale. Con la legge di Bilancio 2018 sono stati stanziati i fondi (36 milioni di euro) per avviare in nove regioni, nel triennio 2018-2020, la sperimentazione delle prestazioni nell’ambito del Servizio sanitario senza costi diretti per i beneficiari.
In base alla proposta di decreto del ministero della Salute (che sarà presentata alla Conferenza Stato-Regioni) i criteri del riparto prevedono che per il 2018 vengano stanziati 6 milioni di euro, ripartiti tra Lazio, Piemonte e Puglia sulla base della quota capitaria di accesso al Fondo sanitario 2018. Per il 2019 lo stanziamento è invece di 12 milioni, tre dei quali andranno alle regioni che hanno iniziato la sperimentazione nel 2018, mentre i restanti 9 milioni andranno a Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia, sempre sulla base della quota di accesso al Fondo sanitario 2018. La quota residua di 18 milioni per il 2020, infine, sarà da ripartire tra tutte e 9 le regioni.