I troppi no che bloccano l’Italia. Parlano Brambilla e Cianciotta


Articolo
Giulia Palocci

Da un apparato giudiziario troppo lento alle disfunzioni della pubblica amministrazione. Da un sistema di formazione in cui lo Stato investe troppo poco alla costante opposizione contro la costruzione di opere e infrastrutture. Sono questi alcuni dei principali motivi che bloccano lo sviluppo e la crescita del nostro Paese. Ne sono sicuri il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle infrastrutture di Confassociazioni Stefano Cianciotta e il giornalista e redattore economico de Il Foglio Alberto Brambilla, autori del libro dal titolo “I no che fanno la decrescita. Per un Paese che non ha ancora rinunciato al futuro“, edito da Guerini Associati. Una versione che hanno ribadito anche in questa conversazione con il giornale online dell’Istituto per la Competitività (I-Com).

UNA RADICATA CULTURA DEL NO 

L’ultima edizione dell’Osservatorio Nimby Forum ha contato oltre 350 opere e infrastrutture contestate, bloccate o la cui esecuzione è stata rallentata. Perché in Italia c’è stato questo così rilevante aumento delle contestazioni? Secondo Alberto Brambillala sindrome di Nimby denota uno sviluppo del campanilismo: da un lato, i cittadini dicono di non volere queste opere ‘nei loro giardini’ – ma va bene realizzarle a pochi chilometri di distanza da loro nel giardino degli altri – mentre dall’altro a volte si sono verificate situazioni in cui le aziende presentavano moltissimi progetti e i cittadini non si sentivano più coinvolti. In questi contesti sono nate – e sono aumentate – le opposizioni locali“. La situazione però sta cambiando per due ordini di ragioni. Per il giornalista del quotidiano diretto da Claudio Cerasa, “la prima è che i movimenti del no ormai non vengono solo riportati dall’Osservatorio Nimby, ma sono stati parlamentarizzati dal momento che uno dei loro maggiori sostenitori – il Movimento 5 Stelle – è arrivato al Governo. E proprio da questa posizione di potere il M5s non è riuscito a fermare opere e impianti che aveva promesso di chiudere o di bloccare, vuoi perché si tratta di grandi bacini di posti di lavoro, vuoi perché si tratta di progetti legati ad accordi internazionali pregressi. Dall’Ilva al gasdotto Tap alla galleria ferroviaria Tav. Per questo motivo il M5s sta subendo le proteste dei movimenti del No che ha usato come taxi durante la campagna elettorale per arrivare al governo. A questo punto come possono i movimenti del no chiedere di più se nemmeno un governo amico è riuscito ad accogliere e a soddisfare le loro istanze? La seconda ragione risiede nel fatto che forse le imprese che hanno compreso meglio il loro dovere di spiegare alle popolazioni locali cosa stanno facendo attraverso il dialogo. La divulgazione è dunque il metodo migliore per contrastare la sindrome Nimby“.

LA SINDROME DI NIMBY E QUELLA DI NIMTO

Della sindrome di Nimby – “Not in my back yard“, in italiano letteralmente “non nel mio cortile” – si parla da molto tempo, ma non è la sola causa che ostacola lo sviluppo infrastrutturale nel nostro Paese. Secondo Stefano Cianciottanon si tratta solo del Nimby, tanto che nel libro facciamo un ragionamento più ampio in cui le infrastrutture rappresentano la summa di un ‘no’ che negli ultimi trent’anni è cresciuto insieme al dissenso sui territori: c’è chi propende per non vaccinarsi, chi per non mangiare determinate cose e chi sui territori non vuole certi investimenti energetici o infrastrutture. E’ il tema della privazione che è diventato mainstream“. Ad avviso del presidente dell’Osservatorio di Confassociazioni chi investe nella privazione sostanzialmente costruisce una felicità effimera. Spesso il rifiuto o le contestazioni provengono anche dai decisori pubblici: “Il problema è evidente. Negli ultimi 30 anni la crisi dei partiti, Tangentopoli, l’abbattimento del muro di Berlino e l’ingresso di tutto il mondo occidentale nel nuovo sistema globale hanno cambiato la prospettiva“. L’Italia si è fatta trovare impreparata – ha proseguito Cianciotta – “tanto che tutte le riforme successive non solo hanno separato l’amministrazione statale dalla decisione amministrativa, ma hanno anche messo in evidenza una debolezza della politica che adesso fatica a prendersi le sue responsabilità“. Oggi la possibilità che un decisore incida in maniera particolare durante il suo mandato è pressoché nulla. E nella maggior parte dei casi in cui lo fanno, vengono sanzionati. Si parla in questi casi di sindrome di Nimto (“Not in my term of office“).

CHI PAGA IL PREZZO DELL’OPPOSIZIONE?

La sindrome di Nimby è solo la punta dell’iceberg: anche una struttura obsoleta che risente dell’elevato numero di norme e della lentezza burocratica e amministrativa è alla base dei ritardi nella costruzione di infrastrutture strategiche per il Paese. Quando parliamo di opposizioni, dobbiamo considerare non solo i movimenti di protesta, ma anche il sistema burocratico e amministrativo che costituiscono spesso il motivo per cui l’Italia si è dovuta privare di potenziali occasioni. Proprio di questo ci ha parlato ancora Cianciotta: “Ci sono state opportunità a cui il nostro Paese ha dovuto rinunciare: l’alta tassazione è un falso problema. Gli investitori non sono preoccupati per quello, ma per la giustizia amministrativa che è lentissima e per l’incertezza sui tempi di finanziamento e di ritorno dell’investimento“. In numeri l’Italia perde 20 miliardi l’anno a causa dei mancati investimenti e i costi poi si scaricano ovunque. “Le conseguenze dei ‘no’ le pagano tutti: sia in termini di ritardi nello sviluppo, di raggiungimento di certi standard accettabili a livello internazionale sia in termini di crescita economica“, ha commentato a questo proposito Brambilla.

LE 5 REGOLE AUREE

Per invertire la tendenza i due autori hanno elencato le cinque regole che – secondo la  loro opinione – favorirebbero la crescita: una serie di proposte e suggerimenti su fisco, spesa pubblica, mercato del lavoro, giustizia e istruzione. “Sicuramente l’investimento più importante che deve fare il Paese è sulla ricerca e la formazione: è questa che determinerà la consapevolezza dei ragazzi nel futuro. Secondo l’Oxford University infatti più della metà degli attuali lavori entro 15 anni scomparirà e l’Italia ne ha moltissimi di mestieri ripetitivi. Almeno il 50% dei millennials saranno ‘autoimprenditori’, quindi dovranno praticamente sviluppare una propria attività. E questa è una propensione che i ragazzi hanno perso, purtroppo“, ha osservato ancora Cianciotta. Anche la divulgazione scientifica è uno dei fattori che può sbloccare l’impasse, secondo Brambilla. Le aziende devono cercare di spiegare alle comunità locali di cosa si occupano, cosa fanno sul territorio e quali sono i benefici che derivano dalla loro attività: “Solo in questo modo si favorisce una rivoluzione culturale per evitare che alcune politiche di sviluppo vengano fermate in futuro. Non è colpa delle persone, ma il problema è quello che gli viene raccontato raccontato e in questo i media hanno avuto e hanno tuttora una grande responsabilità“.

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

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