Il tradizionale report di Save the Children quest’anno si caratterizza per un titolo davvero emblematico: “Le equilibriste: la maternità in Italia”. Lo studio analizza la situazione delle mamme italiane. Sì, perché chi è donna ed è genitore – e soprattutto vive in Italia – sa bene quanto sia difficile trovare un equilibrio tra vita privata, familiare e professionale. Molto spesso è addirittura impossibile conciliare lavoro e faccende domestiche ed ecco che si fanno sempre meno figli o si rinuncia a lavorare a causa degli impegni.
A tal proposito, l’Italia ha toccato un nuovo record di denatalità. Secondo l’Istat, nel 2018 ci sono state 449.000 nascite, 9.000 in meno rispetto all’anno precedente e circa 128.000 in meno rispetto al 2008. Inoltre, le mamme italiane – che hanno il primato di essere le più anziane d’Europa relativamente all’età del primo parto (31,1 anni contro i 29,1 in Europa) – hanno in media 1,32 figli ciascuna, un tasso di fecondità alquanto lontano dal 2,38 che si registrava nel 1970.
La difficoltà a conciliare lavoro e famiglia molto spesso porta a scelte non soddisfacenti sotto il profilo professionale. Ben il 43,2% delle donne tra i 25 e 49 anni con figli minorenni risulta non occupata. Se si guarda invece ai lavoratori part-time nella fascia d’età 25-49 anni, si rilevano significative differenze. Il 26,3% sono donne senza figli (a fronte del 9,5% degli uomini nelle stesse condizioni). Tra quelle con almeno un figlio, si registra un aumento esponenziale nel ricorso al part-time: sono infatti ben il 40,9% delle occupate a essere in tale regime (a fronte del 6,1% degli uomini).
Il ricorso alle forme di flessibilità talvolta si presenta come una scelta obbligata per contemperare le esigenze professionali con quelle familiari. Altre volte, invece, è una precisa richiesta della lavoratrice che, quando non viene ascoltata, presenta le dimissioni o preferisce risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro. Su questo aspetto è intervenuta recentemente l’Unione europea con una proposta di direttiva di prossima approvazione definitiva sul work life balance nella quale si invitano gli Stati membri a garantire ai “lavoratori con figli fino a una determinata età, che non deve essere inferiore ad otto anni, e ai prestatori di assistenza il diritto di chiedere orari di lavoro flessibili, soggetti a una limitazione temporale ragionevole”.
Come se non bastasse, la discriminazione di genere rientra tra i fattori che compromettono ancora la posizione delle donne, e specialmente delle madri, nel mercato del lavoro. Purtroppo in Italia la parità di genere ancora non è stata raggiunta. Anzi, sembrano esserci segnali di peggioramento: nel 2018 il nostro Paese si è posizionato al 70° posto (su 149 Stati presi in esame) del Global Gender Gap Report – la classifica stilata dal World Economic Forum – perdendo ben 29 posizioni dal 2015.
Nel complesso emerge un quadro critico per le mamme italiane. Tuttavia le cose cambiano se si analizza il dettaglio regionale che emerge dal Mother’s Index 2019, la classifica basata su 11 indicatori che misurano la condizione delle madri rispetto a tre dimensioni (cura, lavoro e servizi per l’infanzia). L’indice scatta la fotografia di un’Italia a due velocità, con il Nord che riesce a garantire una più elevata qualità delle condizioni socio-economiche delle donne e il Sud che, complice la crisi economica, arranca.
Nello specifico si nota come le Province di Bolzano e Trento siano le capofila, con oltre 113 punti, seguite da Lombardia, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna. Al lato opposto della classifica si posizionano Calabria (80,478), Sicilia (80,493) e Campania (80,580).
La complessa realtà che si trovano a vivere le madri in Italia oggi porta inevitabilmente a una riflessione sulla necessità impellente di adottare politiche in grado di dare risposte immediate e strutturali a migliaia di lavoratrici. Molte madri potrebbero mutare e migliorare la propria posizione nel mercato del lavoro se solo fossero supportate da adeguati servizi per l’infanzia e per le persone non autosufficienti e avessero maggiori agilità nella gestione del tempo di lavoro.
Tra le misure e politiche a sostegno della maternità vi è anche l’uso di meccanismi rivolti ai padri (come il congedo di paternità o le modalità di lavoro flessibili) che – come dimostrato – possono incidere positivamente sulla percentuale di lavoro domestico non retribuito svolto dalle donne. Su questa scia si muove la Commissione europea che che ha invitato gli Stati membri a intervenire in materia di congedo di paternità, congedo parentale e modalità di lavoro flessibili. Infine, è senza dubbio fondamentale un cambio culturale repentino che scardini gli stereotipi di genere.