Dalle masse alle imprese. Così gli imprenditori hanno scoperto le piazze


Articolo
Giulia Palocci
masse
Foto di Umberto Pizzi

Nel 1930 José Ortega y Gasset scriveva “La ribellione delle masse“, un saggio con cui il filosofo e scrittore spagnolo raccontava l’avvento della società di massa. Oggi, ben novanta anni dopo, sembra verificarsi ciò che Ayn Rand aveva profetizzato in “La rivolta di Atlante“: la ribellione dei cosiddetti prime movers. Ovvero, degli imprenditori. Un’inversione di paradigma frutto della necessità di rimettere al centro del dibattito il binomio tra lavoro e produttività. Percorso che si potrebbe ritenere sia iniziato il 9 febbraio scorso quando, per la prima volta dopo il 2013, Cgil, Cisl e Uil si ritrovarono insieme per una manifestazione unitaria, quella di Roma intitolata “Futuro al lavoro“. In quell’occasione, a sorpresa, spuntarono tra i confederali pure alcuni imprenditori: Confindustria Romagna aveva deciso di aderire alla protesta dei sindacati. In quel momento gli imprenditori italiani, o almeno una loro rappresentanza, hanno scoperto la piazza. Ma come siamo arrivati fino a questo punto? Il vicepresidente esecutivo del gruppo Atlantia e direttore delle Relazioni esterne, Affari istituzionali e Marketing Francesco Delzio ha provato a rispondere a questa domanda nel suo nuovo libro dal titolo “La ribellione delle imprese. In piazza. Senza pil e senza partiti“, edito da Rubbettino e presentato martedì 18 giugno nella sede dell’Istituto per la Competitività (I-Com). Dopo l’introduzione del presidente I-Com Stefano da Empoli, ne hanno discusso con l’autore il presidente Bnl gruppo BNP Paribas e presidente FeBAF Luigi Abete, il presidente Censis Giuseppe De Rita e il vicepresidente di Confindustria Carlo Robiglio, moderati dalla giornalista Veronica Gentili (qui la mediagallery di Formiche.net con le foto di Umberto Pizzi).

PERCHE’ LA RIBELLIONE DELLE IMPRESE?

Questo non è un libro politico (inteso come politica partitica) ma cerca di risalire alle cause profondissime e antiche di una condizione inedita in cui si trovano i piccoli imprenditori italiani”, ha commentato Delzio, che poi ha aggiunto:”E’ la cosiddetta Sindrome di Cenerentola: gli imprenditori si sentono abbandonati dalla politica, sostanzialmente disconnessi dal tessuto sociale che prima li celebrava come campioni e terrorizzati dal fatto che il lavoro non sia più considerato un valore centrale“. A dimostrazione del senso di profondissimo spiazzamento che oggi caratterizza i piccoli (e piccolissimi) imprenditori. Un pamphlet, quello scritto dal manager di Atlantia, che vuole raccontare la ribellione del mondo produttivo, di quelle piccole e medie imprese che hanno permesso all’Italia di essere tra i primi Paesi manifatturieri del mondo. Quelle stesse persone che oggi la globalizzazione, la crisi e la politica anti-casta e populista del governo giallo-verde hanno reso, secondo la definizione contenuta nel libro, “emarginati sociali“.

LA NARRAZIONE ANTICASTA

La logica anti-èlite, secondo Delzio, ha logorato nel tempo quel “patto di solidarietà” alla base del funzionamento delle nostre piccole e medie imprese. Quello italiano “è un particolare ambiente produttivo nel quale la distanza tra imprenditore e lavoratore – nella vita quotidiana – è sempre stata assai ridotta fin quasi a scomparire. Nel segno della Produzione: non solo un obiettivo comune, da perseguire fianco a fianco e giorno per giorno, ma addirittura un set di valori comuni che affondano le proprie radici nella laboriosità tipica della provincia italiana“. Oggi non è più così. E’ cambiata la percezione dell’imprenditore e del suo ruolo. E’ cambiato il tessuto sociale e la sua cultura. Delzio ha riconosciuto come (almeno) un terzo degli italiani sia stato contagiato da quello che il politologo Angelo Panebianco ha definito “virus anti-industriale“, un sentimento di ostilità nei confronti del settore che per decenni ha trainato (e continua a farlo) l’economia italiana.

MA CHI FA PARTE DELLA CASTA?

Oggi le contestazioni populiste si scagliano contro tutti indistintamente. Pubblico e privato, politica e impresa, finanza e industria, speculatori e investitori. Ecco l’élite da combattere. Secondo l’autore si tratta di un paradosso non solo economico, ma soprattutto sociale e politico. “L’imprenditore è il principale generatore di occupazione e ricchezza, nonché l’unico pilastro su cui (a monte) può reggersi qualsiasi operazione di distribuzione della ricchezza e di miglioramento del benessere e della qualità della vita di tutti i cittadini“. Eppure nel nostro Paese si è scatenata una vera e propria guerra semantica contro il termine “imprenditore“. E’ tipico di alcuni esponenti politici, secondo l’autore, usare la parola “prenditore“, per riferirsi a chi “sfrutta il lavoro, vuole delocalizzare e si pone come unico obiettivo quello della caccia agli incentivi pubblici“. Agli imprenditori insomma. Si ribaltano, con un solo termine, i valori positivi di cui il comparto imprenditoriale italiano ha goduto fino a non molto tempo fa.

… E QUALI SONO I SUOI DANNI

Questo strano coacervo di fenomeni sta già causando danni così profondi, che non riusciamo neanche a cogliere la loro reale portata“, ha spiegato l’autore nel suo libro. Prima di aggiungere: “Non è azzardato, oggi, affermare che il loro effetto finale sulla società italiana sia una sostanziale riclassificazione del Lavoro e della Produzione. Se prima erano considerati valori, oggi sono percepiti come dis-valori, o ancor meglio come non valori che possono essere scambiati alla parti con la rendita”. Esempi in tal senso sono proprio il reddito di cittadinanza e quota 100 che, ad avviso di Delzio, rischiano di ridurre drasticamente la percentuale di popolazione lavorativamente attiva. C’è pure il timore, secondo il manager, che tra lavoro e produzione da un lato e rendita dall’altro la bilancia penda ormai a favore della seconda. Il riferimento è chiaro: “Il Lavoro sarà (ancora) meno centrale nelle aspirazioni dei nostri ragazzi e nei loro valori di riferimento, almeno in alcune aree del Paese“.

VERSO IL PRIMO SCIOPERO?

Quante possibilità ci sono che l’Italia cambi rotta nel breve periodo, si è chiesto Delzio? Ad oggi, davvero poche secondo il manager. “Gli imprenditori votano due volte. La prima alle urne, come tutti i cittadini. La seconda volta votano attraverso le loro scelte quotidiane: decidere di realizzare o meno un investimento o un piano di assunzioni rappresenta infatti un voto sul futuro del Paese, sulla capacità di crescita potenziale, sulla qualità delle sue politiche economiche“. Tre, ad avviso del’autore, le opzioni che si trovano di fronte: chiudere la loro impresa, andare all’estero oppure “farsi sentire in modo nuovo. Magari in piazza, superando un antico e resistente tabù“. Ossia imprenditore e lavoratori ancora a manifestare insieme, non più in via eccezionale ma quasi ordinaria: “Queste ipotesi sono così credibili che sarebbe più giusto chiedersi non più se accadranno o meno. Ma quando accadranno“.

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

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