Concludere la questione Brexit entro il 31 ottobre. E’ questa la priorità del nuovo primo ministro inglese Boris Johnson che, dopo aver assunto la guida del partito dei Tories, ha preso il posto dell’ormai ex premier Theresa May. Nel suo discorso inaugurale Johnson ha presentato i punti chiave del suo mandato: attuare la Brexit, unire il Paese e sconfiggere il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn. Ex sindaco di Londra e ministro degli Esteri, ha vinto la concorrenza del suo rivale principale interno Jeremy Hunt. La carriera di Johnson, iniziata da giornalista, si è poi orientata verso la politica. Da primo ministro dovrà gestire uno dei periodi più difficili nella storia del Regno Unito.
L’ACCOGLIENZA
Immediate le congratulazioni da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che in un tweet ha incoraggiato il nuovo primo Ministro con le parole “sarà grande”. Da Bruxelles sono arrivati i complimenti da parte del nuovo presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che ha tuttavia ricordato come quelli in arrivo siano tempi difficili, e che occorrerà un duro lavoro di squadra per assicurare la piena protezione dei cittadini e degli interessi dell’Europa e del Regno Unito. Michel Barnier, che incontrerà in settimana i membri del Parlamento Europeo per una sessione straordinaria del Gruppo di lavoro su Brexit, si è detto disponibile a lavorare insieme al nuovo primo ministro per facilitare la ratifica dell’Accordo di recesso.
Dal Regno Unito arrivano non poche voci di preoccupazione, e non solo dalle opposizioni. Da un lato il leader del partito laburista Corbyn ha sostenuto fermamente la necessità di indire nuove elezioni generali: a suo avviso, infatti, il programma del nuovo primo ministro rischia di rappresentare una minaccia per la stabilità del Paese. Dall’altro lo stesso Johnson si trova a dover gestire non irrilevanti divisioni interne, con una parte dei Tories che si è dichiarata espressamente contraria alla possibilità di una Hard Brexit. Nigel Farage – che pure ha espresso entusiasmo per la vittoria di Johnson – ha sottolineato come la mancata realizzazione della Brexit entro i termini previsti porterebbe a compromettere irrimediabilmente la credibilità del partito conservatore.
LA POSIZIONE SU BREXIT
Tra le prime dichiarazioni di Johnson subito successive alla sua vittoria, quella relativa alla Brexit e alle relazioni con l’Unione europea sono senza dubbio le più incisive. Le intenzioni del nuovo Prime Minister sono estremamente chiare: lasciare Bruxelles il 31 ottobre, con o senza deal. L’ipotesi di Hard Brexit, che desta estrema preoccupazione tanto in Europa quanto nel Regno Unito, è secondo Johnson la chiave per riuscire a ottenere risultati più vantaggiosi nel dialogo con l’Unione. “Brexit, no matter what” è dunque la formula scelta dal successore di May. Questa tenacia si scontra, però, con le forti opposizioni provenienti in primo luogo dai laburisti e dai LibDem, ma anche da alcune anime interne al partito conservatore. Sono già due ministri che hanno presentato le dimissioni in segno di dissenso rispetto a Johnson e all’ipotesi del no deal: si tratta rispettivamente del responsabile dell’Istruzione Anne Milton e del ministro degli Esteri Alan Duncan. E di certo occorre tenere conto della posizione dei leader dell’Unione, che si sono detti indisponibili a rinegoziare le clausole dell’accordo di recesso, bocciato già tre volte dal Parlamento inglese.
I RISCHI DEL NO DEAL
Nonostante la sicurezza di Johnson nell’affermare la forza del Regno Unito, la possibilità di un no deal porta con sé scenari tutt’altro che semplici. La reazione del mondo economico e finanziario è stata abbastanza rigida. L’impatto che un mancato accordo avrebbe sul commercio sarebbe estremamente dannoso: un’ulteriore svalutazione della sterlina nei confronti del dollaro – seppur con effetti positivi sulle esportazioni – indebolirebbe ulteriormente le aziende britanniche, oltre a comportare un aumento dell’inflazione che andrebbe a danneggiare i consumatori. Altri motivi di preoccupazione in caso di mancato accordo con l’Unione riguardano la questione dei confini, che si lega a sua volta al tema della collaborazione con l’Europa in materia di sicurezza : il leader conservatore si è detto deciso a voler porre fine alla partecipazione in Europol. E ancora la protezione dei diritti degli oltre tre milioni di cittadini europei che vivono stabilmente in Gran Bretagna ma anche questioni più pratiche, prima fra tutte la gestione del turismo verso e dal Regno Unito.
BREXIT, LA GRAN BRETAGNA E LA POLITICA INTERNAZIONALE
Il nuovo primo ministro dovrà inoltre affrontare questioni spinose di politica interna, e altre che riguardano il ruolo del Regno Unito a livello internazionale. In primo luogo le tensioni con l’Irlanda relative alla gestione dei confini, che portano con sé il timore del ritorno di un conflitto interno che sembrava essere solo un brutto ricordo del passato. Altra questione sensibile si lega alla possibilità di un nuovo referendum scozzese per ottenere l’indipendenza: il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, ha dichiarato espressamente che Brexit, in qualsiasi forma dovesse essere realizzata, produrrebbe comunque effetti disastrosi sulla Scozia e sull’intero Regno Unito. Infine, Johnson dovrà affrontare le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran: all’inizio di luglio, Londra ha sequestrato una petroliera iraniana a largo di Gibilterra, gesto che ha reso evidente la volontà del Regno Unito di riavvicinarsi agli Stati Uniti, ma che costituisce un segnale decisivo tanto nei confronti di Teheran, quanto nei confronti dell’Europa.