Economia globale, il Fondo monetario internazionale riduce le previsioni di crescita per il 2019


Articolo
Michele Masulli

Il Fondo monetario internazionale ha abbassato le previsioni di crescita dell’economia globale. Nel 2019 il prodotto interno lordo di tutto il mondo aumenterà del 3%, lo 0,2 in meno rispetto a quanto previsto a luglio. Si tratta di una diminuzione significativa, se si considerano i numeri degli anni passati: +3,8% nel 2017 e +3,6% lo scorso anno.

Da ottobre 2018, è la quarta volta che il Fondo monetario vede al ribasso le proprie aspettative. A pesare particolarmente sull’andamento dell’economia sono le tensioni commerciali, con i lori riflessi sulla fiducia e sugli investimenti. La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina in corso da mesi e i recenti provvedimenti americani contro l’Unione europea (vedi la vicenda Airbus) costituiscono il principale ostacolo alla ripresa. Si stima che soltanto le ostilità tra i due giganti che si affacciano sul Pacifico ridurranno la ricchezza mondiale dello 0,8% entro il 2020.

Un fattore, questo, confermato anche dalle analisi della World trade organization, che recentemente ha tagliato le previsioni di crescita del commercio fino all’1,2% nel 2019 (quando ad aprile si attestavano al 2,6%) e ridotto l’effetto rimbalzo nel 2020 dal 3 al 2,7%. È in particolare il settore manifatturiero a risentirne, anche nel caso di potenze industriali come la Germania dove a luglio la produzione è calata del 4,2% rispetto all’anno precedente e in economie solide come gli Stati Uniti, dove l’indice manifatturiero ha segnato la contrazione più grave dai tempi della grande recessione.

Ad attenuare queste criticità è stato l’operato delle Banche centrali, Federal reserve e Banca centrale europea in particolare. Le politiche accomodanti adottate, secondo il Fondo monetario internazionale, hanno allentato le tensioni dei mercati finanziari. Inoltre, il comparto dei servizi, maggiormente resiliente, ha sostenuto la crescita dell’occupazione.

Ciononostante, l’outlook del Fondo rimane precario. Nel 2020, la crescita dell’economia dovrebbe riportare una crescita del 3,4% (lo 0,2% in meno se comparato con la previsione di aprile scorso) sulla scorta soprattutto del miglioramento dei risultati economici in alcuni Paesi emergenti. Mentre si immagina un tasso leggermente più elevato per il periodo 2021-2024. Il rallentamento di Cina, Stati Uniti, area euro e Giappone, che insieme costituiscono quasi la metà del prodotto interno lordo mondiale, rappresenta una grave minaccia sull’andamento dell’economia globale. La decelerazione della crescita cinese è attribuibile in gran parte all’indebolimento della domanda aggregata frutto degli sforzi di contenimento del debito e agli attriti sugli scambi commerciali, oltre che al declino graduale dell’aumento della forza lavoro.

Nel complesso, il tasso di crescita dei Paesi avanzati si terrà al di sotto del 2% nel 2020, con una modesta ripresa dell’area euro, che compensa una riduzione graduale del tasso di crescita degli Stati Uniti. Nel medio termine il Fondo montario prevede per le economie avanzate un tasso di crescita contenuto, a causa di bassi incrementi della produttività e della forza lavoro. Se concentriamo l’attenzione sull’Eurozona, il tasso di crescita si attesterà all’1,2% nel 2019, che diventerà 1,4 nel 2020. Spicca il tasso di crescita della Spagna (+2,2% nel 2019 e +1,8 nel 2020). Segue la Francia (rispettivamente +1,2% e +1,3). Poi c’è la Germania che, provata dalla frenata globale del settore automotive (-2,4% della produzione globale e -3% delle vendite), si colloca allo 0,5% nell’anno in corso.

Dovrebbe andare meglio nel 2020, per cui il Fmi stima una crescita dell’1,2%. Fanalino di coda l’Italia, su cui pesano la congiuntura internazionale, i consumi ridotti e uno stimolo inferiore delle politiche fiscali: il Fmi riporta una crescita 0 per il 2019 e un timido +0,5% per il prossimo anno. Stime che si discostano di poco dalle proiezioni della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza pubblicato recentemente, che danno una crescita del prodotto interno lordo dello 0,1% per il 2019 e dello 0,6 per il 2020. Inoltre, all’Italia si rivolge l’invito a ricostruire gradualmente buffer fiscali (così anche per Francia e Spagna) e ad assumere impegni credibili per riportarsi su una traiettoria di riduzione del debito nel medio termine.

Ricopre attualmente il ruolo di Direttore dell’area Energia presso l’Istituto per la Competitività (I-Com), dove è stato Research Fellow a partire dal 2017. Laureato in Economia e politica economica presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, successivamente ha conseguito un master in “Export management e sviluppo di progetti internazionali” presso la Business School del Sole24Ore. Attualmente è dottorando di Economia applicata presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Roma Tre. Si occupa principalmente di scenari energetici e politiche di sviluppo sostenibile, oltre che di politiche industriali e internazionalizzazione di impresa.

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