La strategia del cacciavite del ministro Patuanelli


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Stefano da Empoli

Lo scorso 30 ottobre il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha illustrato alla Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati le linee programmatiche del suo dicastero. Quantomeno quelle nelle competenze della commissione stessa, dunque escludendo il settore delle comunicazioni.

Fortissimo il focus su innovazione e ricerca in ambito industriale ma anche sul tema delle competenze digitali, specie nel caso delle piccole e medie imprese. In questo ambito si prevede un rafforzamento degli strumenti esistenti e una loro semplificazione, con l’introduzione di un unico strumento di accesso agli incentivi, nella forma di un credito d’imposta articolato su più finalità. Ma anche una loro maggiore stabilità nel tempo, per migliorarne la programmabilità ed evitare l’andamento a singhiozzo degli investimenti in nuove tecnologie da parte delle aziende. Il tutto nella più ampia cornice di un approccio green che, insieme all’innovazione, è il leitmotif del programma ministeriale di Patuanelli. Che infatti, oltre a confermare, e anzi a stabilizzare, gli strumenti di Impresa 4.0, promette benefici fiscali per investimenti che favoriscano “i processi di trasformazione tecnologica necessari alla transizione tecnologica e in linea con i principi dell’economia circolare e decarbonizzazione stabiliti dall’Unione Europea” (qui le foto dell’evento I-Com su reti e servizi di nuova generazione con il ministro per l’Innovazione Paola Pisano e il sottosegretario allo Sviluppo economico Mirella Liuzzi).

Non c’è settore nel quale queste filosofie convergano più che nell’automotive, al quale infatti viene dedicato ampio spazio (qui il nostro approfondimento firmato da Eleonora Mazzoni). Con un’attenzione rivolta all’intera filiera e la volontà di ascoltare associazioni di categoria e parti sociali, con le quali elaborare una strategia d’intervento di breve, medio e lungo periodo. Certo, l’impresa non sarà facile e la transizione non potrà che essere coordinata con il resto dei Paesi europei. Provando soprattutto a tenere sotto un unico framework strategico e normativo gli obiettivi ambientali con quelli industriali. A differenza di quanto avvenuto sciaguratamente dieci anni fa nel caso del fotovoltaico.

A proposito di energia, questo approccio green si traspone nel confermare gli obiettivi stabiliti nel PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) e nella volontà di prorogare l’ecobonus per la riqualificazione energetica degli edifici e il phase out del carbone nella generazione elettrica. Anche se non manca un riconoscimento del ruolo del gas naturale “come fonte di approvvigionamento importante per il nostro Paese”, si ribadisce la volontà di procedere con il phase out per l’estrazione di idrocarburi onshore e offshore in Italia. Una posizione che ci pare eccessiva, considerata la dipendenza dell’Italia dall’import e l’indotto del settore estrattivo, al quale il ministro promette “massima attenzione a supportare le aziende nel necessario processo di conversione che il settore dovrà mettere in atto, e che permetterà di creare maggiori posti di lavoro di quanti sinora garantiti stabilmente nel settore dell’upstream italiano”.

Un auspicio che oggi appare tutt’altro che suffragato dai numeri. In chiaroscuro anche l’attenzione verso i consumatori. Sembrano lontane le lenzuolate bersaniane ma anche la stagione renziana della Legge annuale sulla concorrenza. Anche se il ministro si impegna a fare di più sul fronte assicurativo e, soprattutto, ribadisce l’impegno ad andare avanti con la fine del regime di tutela di prezzo per i clienti domestici e le PMI nell’energia elettrica e nel gas naturale. Un buon segnale dopo più di un anno gettato al vento dal precedente governo. Sempre che ora si riesca davvero a recuperare il tempo perso di qui al primo luglio 2020, la data prevista dalla legge per dare piena libertà di scelta ai consumatori tra i potenziali fornitori di luce e gas. Sul fronte delle scadenze (in questo caso già passate), si promette anche una rapida definizione della Strategia nazionale sull’intelligenza artificiale, che ci eravamo impegnati a consegnare alla Commissione europea entro il giugno 2019, e di quella sulla blockchain.

Non si tratterà dunque di un programma rivoluzionario ma di misure di aggiustamento, stabilizzazione e attuazione in larga parte condivisibili. Se poi vedranno davvero la luce lo stabiliranno i fatti già a partire dai prossimi mesi. Il vantaggio è che non dovremo aspettare molto per giudicare l’operato del nuovo ministro dello Sviluppo economico. Sperando che la tecnica del cacciavite basti a ravvivare l’anemico sistema produttivo italiano.

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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