Campagne elettorali deboli, bassa affluenza alle urne e scarsa attenzione del mondo accademico e dell’opinione pubblica hanno caratterizzato tradizionalmente gli appuntamenti elettorali per la scelta dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo. “Nei quaranta anni trascorsi dalle prime elezioni a suffragio universale per l’Europarlamento, la politica, l’opinione pubblica e persino gli studiosi hanno riservato spesso meno attenzioni a questo tipo di consultazione che ad altre”. A colmare questo vuoto ci ha pensato l’editorialista politico Luca Tentoni. Nel suo ultimo libro dal titolo “Le elezioni europee in Italia. Un percorso fra storia e dati 1979-2019”, edito da il Mulino, Tentoni ha analizzato gli esiti delle consultazioni europee nel nostro Paese per capire i risvolti che questi passaggi elettorali hanno avuto sui comportamenti di voto degli italiani alle elezioni politiche.
Nel libro lei sottolinea come l’appuntamento con le elezioni europee in Italia sia percepito come meno importante. Qual è il motivo?
Da sempre gli elettori distinguono fra elezioni di primo ordine, cioè le politiche nelle quali si decide il futuro del Paese, e quelle di secondo ordine, ossia le regionali o europee. In particolare, queste ultime sono sempre state vissute come un test politico nazionale, soprattutto quando gli italiani erano tutti europeisti convinti.
Nel suo libro sulle elezioni politiche nei capoluoghi di regione aveva riscontrato una differenza di voto tra i capoluoghi di regione e il resto del territorio. Questo avviene anche per le elezioni europee?
Esattamente. Si tratta della distanza fra il centro e la periferia, che non esiste solo fra capoluoghi di regione e altri comuni (qui la nostra intervista a Luca Tentoni sul suo libro dal titolo “Capitali regionali. Le elezioni politiche nei capoluoghi di regione 1946-2018“). Avviene anche nelle grandi città, dove ci sono differenze di comportamento elettorale fra le zone caratterizzate da fattori socioeconomici e culturali che potremmo definire inclusivi e le zone degli esclusi. Questo fenomeno si è accentuato con la globalizzazione, ma è sempre stato presente, sia alle politiche (non solo dal 1946 al 1948, ma addirittura già dal 1919) che in tutte le altre elezioni.
Cos’è cambiato dal 1979 a oggi?
Quasi tutto. L’atteggiamento degli italiani verso l’integrazione europea, il sistema nazionale dei partiti e il contesto sociale ed economico. Ovviamente è cambiata anche la struttura istituzionale europea. Oggi l’elettore non vota quasi più perché ha un legame con un partito, ma cambia la sua scelta a seconda dell’offerta politica e del momento storico.
Perché il voto del 17 giugno 1984 rappresenta un punto di svolta?
In quell’anno il Partito Comunista Italiano ha ottenuto il suo primo e unico sorpasso nei confronti della Democrazia Cristiana ma il successo è stato più che altro una celebrazione del suo leader Enrico Berlinguer, morto durante la campagna elettorale. In realtà i comunisti erano in crisi già dal ’79, ma è subito dopo quell’effimera vittoria del 1984 che si è accentuato il loro declino elettorale.
In che modo la caduta del Muro di Berlino ha influenzato l’andamento del voto in Europa e in Italia? Perché le elezioni del 1994 sono così importanti?
In Italia il voto europeo del 1989 segue l’andamento usuale di questo tipo di elezioni, ma nel 1994 tutto è cambiato: i partiti in lizza e, in pratica, l’intero sistema. La caduta del Muro ha accelerato alcuni processi di trasformazione già presenti nella società italiana (qui il nostro approfondimento sulla caduta del Muro di Berlino). Il disincanto verso i soggetti politici tradizionali c’era già nel 1978 quando l’abrogazione referendaria del finanziamento ai partiti non passò per poco (56,4% contro 43,6%) mentre i gruppi favorevoli al quesito non superavano il 10% dei voti alle elezioni parlamentari. La crisi del sistema fu rinviata perché negli anni Settanta la priorità era sconfiggere il terrorismo. Poi negli anni Ottanta c’è stata la ripresa economica ma poi a un certo punto, fra il ’92 e il ’93, è crollato tutto. Il voto del 1994 è stato molto politico, perché ha premiato Forza Italia dopo la vittoria alle elezioni parlamentari: è l’effetto luna di miele, che premierà poi anche Matteo Renzi nel 2014.
Quando parla di elezioni del 2009 usa l’espressione “vittoria dei secondi”. A cosa si riferisce?
Nel 2009 ci si aspettava che i due maggiori partiti, il Popolo della libertà (Pdl) e il Partito democratico (Pd), appena nati rispettivamente dalla fusione di Forza Italia e Alleanza nazionale da una parte e di Democratici di sinistra e Margherita dall’altra, spazzassero via la concorrenza. Invece, come capita spesso alle europee dove l’elettore si sente libero di votare, vinserola Lega e Italia dei valori (Idv), cioè gli alleati minori di Pdl e Pd. Quelli che io chiamo i secondi, appunto, che nel 2009 hanno raccolto i voti di chi non era soddisfatto dei gruppi maggiori. È un segnale importante: Lega e Italia dei valori sono cresciuti nei consensi per altri tre anni, fin quando entrambi, per ragioni diverse, sono entrati in una crisi profonda.
In che modo crisi economica, terrorismo, immigrazione e globalizzazione hanno influenzato le elezioni del 2014 e del 2019?
Quelle del 2014 sono elezioni particolari, da luna di miele col governo Renzi, come accennavo in precedenza. Nel 2019, invece, ha vinto chi ha saputo intercettare meglio lo scontento che derivava da problemi che a valenza nazionale, ma anche continentale. Ecco perché la Lega ha raddoppiato la sua percentuale. Il Movimento cinque stelle, invece, ha perso perché ha pagato la sua scelta di stare in un governo di coalizione, seppure nato da un contratto. I due elementi che spiegano la sconfitta del Movimento sono la contaminazione con una forza antagonista (il Carroccio) e il ritorno a casa di molti che avevano scelto i Cinquestelle fra il 2011 e il 2018 perché delusi dal centrodestra.
Nello specifico, come è cambiata la geografia politica alle ultime elezioni europee del 2019?
Le europee del 2019 hanno confermato e accentuato la tendenza del 2018: non ci sono tabù, l’elettore cambia voto rapidamente e supera gli steccati tradizionali, le appartenenze. Ecco perché anche le regioni rosse diventano più permeabili all’avanzata leghista e perché il Centro-Sud, che in passato mai avrebbe pensato di votare per il Carroccio, ha visto progredire la lista di Matteo Salvini. Se nel 2018 l’Italia era verde al Nord, rossa in alcune zone del Centro e gialla al Sud, oggi è in gran parte a maggioranza relativa leghista (e a maggioranza quasi assoluta di centrodestra). Si tratta di una situazione in movimento, soprattutto se si pensa che nel 2014 il Pd trionfava praticamente in tutto il Paese, proprio alle europee. Quindi tutto è in gioco, per il futuro.