Sarà il 2045 l’anno della ripresa per il settore delle costruzioni. Sempre se i ritmi di crescita continueranno a essere così timidi. A lanciare l’allarme è l’Ance, l’associazione aderente a Confindustria che rappresenta gli imprenditori edili italiani. Secondo il rapporto, illustrato dal presidente Gabriele Buia, dal vicepresidente Rudy Girardi, dal direttore del Centro studi Flavio Monosilio e dall’ordinario di Economia politica presso l’università di Roma Tor Vergata Gustavo Piga, nel 2019 gli investimenti nel settore delle costruzioni sono aumentati del 2,3%. Si tratta di un segnale di ripresa che conferma le previsioni di un anno fa, ancora troppo debole però per intravedere l’uscita dal tunnel in cui l’intero comparto si trova ormai da un decennio.
E’ una situazione di stallo che si riflette, in modo anche pesante, sull’andamento generale dell’economia italiana, ancora lontano dai livelli pre-crisi: nel 2019 il tasso di crescita del prodotto interno lordo è stato vicinissimo allo zero. Ben quattro punti percentuali al di sotto dei risultati ottenuti nel 2007. A mancare, tra le altre cose, è stato certamente l’apporto del settore delle costruzioni, che nel 2019 ha raggiunto un valore di quasi 130 milioni di euro.
Secondo l’analisi congiunturale, sono stati gli investimenti in nuove abitazioni a crescere maggiormente rispetto alle altre voci, con un aumento pari al 5,4%. Seguono quelli nelle opere pubbliche, con una crescita del 2,9%, poi quelli nelle costruzioni private non residenziali, con il 2,5 e infine le spese dedicate alle manutenzioni straordinarie, cresciute meno dell’1%. A sorprendere di più è il segnale lanciato dal settore pubblico: dopo il crollo iniziato nel 2005, finalmente il 2019 si è chiuso con il segno positivo. Nonostante la perdita complessiva di investimenti che si è verificata negli ultimi quindici anni (ben il 58% in meno), sono stati soprattutto i comuni a rilanciarli. Con un aumento generale del 16%, i risultati migliori sono stati registrati al Nord, che viaggia su percentuali di spesa che superano il 20%, mentre il Sud si ferma al 4.
Tuttavia la riduzione dei permessi per costruire e le forti difficoltà di accesso al credito continuano a condizionare l’andamento del comparto. Nel primo caso, la congiunturale sottolinea nel primo trimestre del 2019 un calo delle autorizzazioni dello 0,9% nel residenziale e del 7,9 in quello non residenziale. Le preoccupazioni riguardano soprattutto gli effetti che questo andamento potrà avere sugli investimenti nei prossimi anni. Nel secondo caso, le imprese continuano a lamentare forti difficoltà di accesso al credito. Un ostacolo che si è tradotto nell’impossibilità di avviare nuovi progetti, almeno nel breve termine. In generale tra il 2007 e il 2017 i finanziamenti erogati hanno subito un calo di circa il 70%. Ad eccezione del 2018, quando per la prima volta dopo un decennio è stata registrata una variazione positiva, nel 2019 l’inversione di tendenza non sembra confermata. E a sostenerlo ci sono pure i dati della Banca d’Italia. Nei primi nove mesi dello scorso anno, il tasso di erogazioni nel comparto residenziale è rimasto stazionario rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anzi, le variazioni sono state negative nel secondo e terzo trimestre rispettivamente del 2,2% e dell’1,8%. A registrare il calo più pesante, però, è stata l’edilizia non residenziale, in cui la concessione di prestiti è scesa di oltre il 30% rispetto ai primi tre trimestri del 2018.
E le previsioni non sono migliori per il 2020. Secondo le stime dell’Ance, l’andamento del settore continuerà a essere caratterizzato da stagnazione, con l’incertezza che farà da padrona. La crescita degli investimenti si fermerà all’1,7%. “Non illudiamoci che il mondo delle costruzioni sia uscito dalla crisi, mancano le basi per dire che siamo al sicuro“, ha dichiarato il presidente Buia. Che ha poi sottolineato come gli elementi di maggiore criticità siano ancora oggi la difficoltà delle imprese a rialzarsi e la mancanza di redditività. Nello specifico, a trainare il settore il prossimo anno saranno gli investimenti nelle opere pubbliche e quelli nella nuova edilizia abitativa, che dovrebbero aumentare rispettivamente del 4 e del 2,5% rispetto al 2019. Prosegue dunque la tendenza positiva, ma si tratta di numeri che certamente non sono identificativi di una ripresa stabile e duratura del settore. Per gli investimenti in manutenzione straordinaria, l’analisi congiunturale stima una crescita dell’1,5%, spinta soprattutto dagli interventi con eco e sismabonus e dal ricorso al bonus facciate (qui un nostro articolo sul tema) mentre cresceranno solo dello 0,4 gli investimenti nel settore non residenziale privato.
A risollevare le sorti del settore, secondo l’associazione dei costruttori, non contribuirà di certo la politica. A pesare sulla lenta, anzi, lentissima ripresa ci sono sia fattori internazionali come la crisi industriale tedesca e i continui contrasti tra Stati Uniti, Cina e Iran, sia fattori di natura interna. La legge di Bilancio per il 2020 ne è un esempio, giudicata, da un lato, priva di misure compatibili con l’esigenza di rilanciare la crescita dal punto di vista strutturale e, dall’altro, senza una visione d’insieme per intervenire su un patrimonio infrastrutturale definito dagli stessi analisti Ance “inadeguato, obsoleto e in molti casi degradato“. Ancora una volta, vengono penalizzati gli investimenti pubblici a vantaggio di misure che sostengono la ripresa economica attraverso i consumi. A tal proposito, l’Ance ha quantificato in 860 milioni di euro l’effetto peggiorativo sul livello degli investimenti pubblici. “Chiediamo misure concrete per semplificare un settore ingabbiato da una burocrazia che lo rende infficiente e inoperoso“, ha commentato Gabriele Buia. “Altrimenti – ha concluso – non usciremo mai stabilmente da questa crisi“.