Un nuovo cigno si staglia davanti alla stabilità del sistema finanziario globale. In questo caso è verde e si tratta del cambiamento climatico. La Banca dei Regolamenti internazionali, nel suo ultimo studio dal titolo “The green swan. Central banking and financial stability in the age of climate change”, ha ripreso (e riadattato) il concetto di cigno nero ideato da Nassim Nicholas Taleb. Il saggista libanese, in un fortunato libro del 2007, aveva immaginato eventi così inaspettati e rari (si pensi a un attacco terroristico, a una tecnologia dagli effetti dirompenti, a una catastrofe naturale), tali da determinare un impatto estremo, o di vasta portata, e di potere essere spiegati solo dopo che siano avvenuti. Fatti che non possono essere previsti facendo affidamento sugli approcci probabilistici tradizionali – che solitamente assumono distribuzioni normali – e sui modelli backward-looking, che estrapolano le tendenze storiche e impediscono il pieno apprezzamento del futuro rischio sistemico rappresentato dai cambiamenti climatici. Si pongono, per questo, fuori dall’ambito delle aspettative regolari e richiedono una rottura epistemologica nella gestione del rischio (qui un nostro articolo sugli obiettivi europei al 2030).
Per la Banca dei Regolamenti internazionali, il cigno verde dei cambiamenti climatici presenta caratteristiche comuni ai cigni neri: profonda incertezza e non linearità. Inoltre, la sua possibilità di verificarsi non si riflette nei dati passati e l’assunzione di valori estremi non può essere esclusa. D’altra parte, il green swan presenta aspetti differenti dal black. Nonostante gli impatti dei cambiamenti climatici siano altamente incerti, esiste un grado elevato di certezza che una combinazione di rischi fisici e di transizione si materializzerà in futuro. Da qui la necessità di adottare misure ambiziose di contrasto ai cambiamenti climatici. Inoltre, le catastrofi climatiche rappresentano per l’umanità una minaccia di rilievo maggiore rispetto alle crisi finanziarie sistemiche, come evidenziano gli scienziati del clima. Per ultimo, mostrano un’elevata complessità: le reazioni a catena e gli effetti a cascata connessi ai rischi sia fisici che di transizione possono provare dinamiche ambientali, geopolitiche, sociali ed economiche imprevedibili.
Pertanto, il cambiamento climatico, come fonte di instabilità finanziaria (e di prezzo), pone sfide importanti alle banche centrali, alle autorità di regolamentazione e di vigilanza e a tutti i soggetti responsabili del monitoraggio e del mantenimento della stabilità finanziaria. Alcuni passi in avanti sono stati fatti. La costituzione del Central Banks and Supervisors Network for Greening the Financial System (NGFS) è motivata dall’esigenza di rafforzare il ruolo del sistema finanziario nella gestione dei rischi e nella mobilitazione del capitale per investimenti verdi e a basse emissioni di carbonio.
Tuttavia, l’integrazione dell’analisi dei rischi legati al clima nel monitoraggio della stabilità finanziaria e nella vigilanza prudenziale comporta numerose difficoltà. Singoli modelli o analisi di scenario non possono fornire un quadro completo dei potenziali impatti macroeconomici, settoriali e di impresa causati dai mutamenti del clima. Gli eventi del cigno verde potrebbero costringere le banche centrali, al fine di rispettare il proprio mandato di stabilità finanziaria e dei prezzi, a intervenire come climate rescuers of last resort e ad acquistare grandi quantità di attività svalutate. Sono necessarie, quindi, azioni di sistema in grado di promuovere una trasformazione strutturale delle economie, attraverso l’applicazione innovazioni tecnologiche e cambiamenti legislativi e sociali.
Per questo, lo studio della Banca dei Regolamenti internazionali suggerisce alcune indicazioni di policy. Le banche centrali, ad esempio, possono favorire la promozione di una visione a più lungo termine attraverso l’integrazione dei criteri di sostenibilità (in particolare gli obiettivi Esg, i target di sostenibilità dell’Onu) nei loro portafogli e il loro inserimento nella conduzione delle politiche di stabilità finanziaria. Allo stesso tempo, si richiede l’inclusione della sostenibilità nei quadri contabili a livello aziendale e nazionale. Si sollecitano, inoltre, misure efficaci di carbon pricing, non essendo più sufficiente l’utilizzo isolato di carbon tax e una disclosure sistematica dei rischi legati al clima da parte del settore privato.
Nel complesso, appare urgente un coordinamento di tutti gli attori (banche, governi, settore privato, società civile) per individuare nuove combinazioni di politiche (fiscali, monetarie e prudenziali) in grado di affrontare al meglio i futuri imperativi climatici. Lo studio sottolinea che i cambiamenti climatici comportano effetti distributivi tra Paesi e al loro interno. I rischi e i conseguenti costi dell’adattamento ai cambiamenti climatici ricadono in gran parte sugli Stati poveri e sulle famiglie a basso reddito di quelli più ricchi. Questo richiede strategie di mitigazione mirate e un sistema di trasferimenti compensativi orientati a prevenire i contraccolpi sociali e politici. Risulta evidente, perciò, che la stabilità finanziaria, climatica e sociale del pianeta siano ben strettamente connesse.