Lo scorso 21 gennaio si è concluso il lungo iter di definizione del Piano Integrato Energia e Clima, lo strumento previsto dal Clean Energy Package europeo (Regolamento EU/2018/1999) per dare uniformità alle politiche nazionali volte a raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali al 2030 dell’Unione europea.
Il percorso ha visto vari passaggi, tra cui la presentazione della prima bozza a fine 2018, una revisione da parte della Commissione a metà 2019 e, infine, la consegna della versione definitiva a gennaio 2020 dopo aver recepito i (pochi) rilievi della Commissione. Quali lezioni posiamo trarre da questo lungo e complesso percorso?
La prima considerazione che mi sembra importante sottolineare è il pregevole lavoro svolto dalle strutture tecniche che hanno contribuito a scrivere il documento. Probabilmente nessuno avrebbe ritenuto possibile un così forte lavoro di coordinamento tra differenti ministeri (Ambiente e Sviluppo economico in prima linea) ed enti di ricerca (ENEA, ISPRA e RSE) grazie al quale è stato possibile scrivere un documento puntuale pur nella grande complessità e varietà delle materie trattate. Il gruppo interistituzionale di tecnici che si è formato dietro al lavoro di scrittura del PNIEC è un patrimonio che non deve essere disperso.
Una seconda considerazione riguarda invece il piano dell’attuazione del PNIEC in vista del conseguimento degli obiettivi in esso contenuti. Quasi tutti i commentatori concordano col dire che il raggiungimento degli obiettivi del PNIEC è molto sfidante (e già si parla di aggiustamenti verso l’alto in conseguenza del Green Deal proposto dalla nuova Commissione). Ho più volte sostenuto che al centro del dibattito e dell’azione dovrebbero ora essere posti gli strumenti e le risorse per raggiungere gli obiettivi fissati, piuttosto che continuare la discussione degli obiettivi stessi. È stridente, in questo senso, il richiamo all’iter che ha portato all’approvazione dei nuovi decreti per incentivare la produzione di fonti rinnovabili. Un tema relativamente semplice (l’Italia ha una lunga esperienza in materia) ma che ha visto la luce parziale con il cosiddetto Decreto FER1 entrato in vigore dopo una lunghissima gestazione ad agosto 2019, e che ancora è orfano del complementare Decreto FER2, riservato alle tecnologie considerate “più innovative e costose”. Come scalare la montagna dei circa 40.000 MW di nuova potenza rinnovabile elettrica da installare da qui al 2030, con questa velocità normativa? Ricordiamo inoltre che l’incentivo (quando serve) è solo l’innesco del processo e che l’investimento in un impianto di produzione energetica a fonte rinnovabile impiega spesso molti anni per passare dalla decisione alla connessione.
E le rinnovabili elettriche rappresentano, probabilmente, il capitolo più semplice del PNIEC. Che dire del settore dei trasporti, dove poco o nulla di veramente significativo sembra muoversi sul fronte normativo?
Veniamo poi all’efficienza energetica. La versione definitiva del Piano conferma gli obiettivi di risparmio sugli usi finali di energia, quantificati in 9,3 Mtep/anno al 2030. Di questi, più di un terzo dovrà venire dal settore residenziale (3,3 Mtep). In questo segmento i risparmi deriveranno principalmente dalla ristrutturazione degli edifici esistenti, dunque sfruttando le detrazioni fiscali e l’ecobonus. Dal 2011 al 2018 tale meccanismo ha prodotto, secondo le stime ENEA, risparmi per 2,7 Mtep/anno. Come noto, la maggior parte degli interventi realizzati si è concentrata su interventi puntuali di sostituzione di infissi (per quasi la metà in termini numerici e il 40% in termini di investimenti complessivi tra il 2011 e il 2018) e di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernali (21% circa sia in termini numerici che di investimento). Le riqualificazioni globali, legate a interventi più incisivi sui consumi energetici, sono state invece solo l’1% del totale e hanno contribuito al 8,6% degli investimenti realizzati (sempre nel periodo di riferimento 2011-2018), con un costo medio per intervento di poco superiore agli 80.000 euro. Nel 2018, per gli interventi sulle parti comuni dei condomini, sono pervenute all’ENEA 477 domande di detrazione (0,1% del totale), per un investimento complessivo che ha raggiunto i 55,5 milioni di euro (1,7% del totale dell’anno). Ciò vuol dire che l’investimento medio per intervento è stato di circa 116.000 euro.
Appare evidente da questi dati che il vero segmento da aggredire per poter conseguire i target previsti è proprio quello delle ristrutturazioni profonde e dei condomini. Cosa si intende fare per realizzare questo potenziale? L’impostazione fin qui adottato non sembra discostarsi molto dal passato, con un approccio di rinnovo annuale dello strumento delle detrazioni fiscali e una discontinuità normativa che poco giova al sistema. Su quest’ultimo punto ricordiamo la modifica all’opzione dello “sconto in fattura” introdotto con il decreto Crescita nel luglio 2019, che è stato sostanzialmente eliminato dalla legge di Bilancio 2020 approvata a fine anno. Lo sconto diretto in fattura è infatti limitato a interventi con importo pari o superiore a 200.000 euro. Interessante notare che, analizzando i dati ENEA, il valore medio dell’investimento in riqualificazione energetica dei condomini ammonti a circa la metà, il che vuol dire che solo un limitatissimo numero di casi ne potrà beneficiare. Come può un contesto normativo così incerto e mutevole favorire investimenti che richiedono tempi di decisione molto lunghi (ciascuno di noi sicuramente ha ben presente quanto tempo e fatica serve a una assemblea di condominio per assumere una decisione)? Inoltre, perché non si riesce a coinvolgere in questo meccanismo di anticipazione del beneficio fiscale gli istituti di credito, che sembrerebbero dei candidati naturali per una tale operazione?
La vicenda PNIEC può quindi essere considerata un benchmark molto positivo anche per il futuro. E a leggere il piano di lavoro della Commissione europea sul Green Deal ci sarà sempre più bisogno di una struttura tecnica in grado di assorbire la mole di nuova pianificazione energetico/ambientale che sarà necessaria. Allo stesso tempo, andrà aumentata la velocità e l’efficacia della trasposizione normativa per dare impulso all’implementazione dei principi di decarbonizzaizone, economia circolare, protezione della biodiversità e valorizzazione del capitale naturale. Il tutto con un forte approccio integrato e di coerenza, per evitare che la mano destra del legislatore tessa la tela mentre la sinistra la disfi.
Proprio con l’obiettivo di garantire una forte coerenza al quadro normativo che si dovrà delineare, sarebbe utile confrontarsi sull’utilità di introdurre una sorta di “Ragioneria del carbonio” che possa fornire (al pari della Ragioneria Generale dello Stato sul versante delle coperture finanziarie) una “bollinatura green” delle leggi da approvare, mostrandone il contributo al conseguimento degli obiettivi energetico-ambientali di pertinenza.
A questo link le foto di una recente tavola rotonda sul tema che si è svolta presso la sede dell’Istituto per la Competitività (I-Com).