Oggi la reputazione rappresenta oltre un quarto del valore delle più grandi aziende quotate a New York come rivela una recente ricerca. Ma è sempre stata così importante? E quali sono i cambiamenti globali che l’hanno portata a diventare uno degli asset fondamentali di qualsiasi grande organizzazione? Il web, la crescente attenzione alle questioni
etiche e morali e la maggiore sensibilità verso i temi della sostenibilità ambientale sono solo alcuni dei fattori che hanno contribuito ad aumentare l’esposizione delle aziende nei confronti dell’opinione pubblica. In un quadro del genere, è chiaro che mai come adesso, l’attenzione delle imprese sia sempre più rivolta alla propria proiezione verso l’esterno, alle conseguenze sociali del proprio business e a costruire una struttura organica in grado di rispondere a sfide radicalmente nuove. Ne abbiamo parlato con Gianluca Giansante, partner di Comin & Partners e docente di comunicazione della Luiss, che ha contribuito al manuale “Comunicazione integrata e reputation management“, a cura di Gianluca Comin, edito da Luiss University Press.
Perché oggi parlare di reputazione è così importante?
È sempre stata un asset fondamentale. Già negli anni ’40 John Stuart, l’amministratore delegato di una delle più grandi aziende statunitensi dell’alimentare, la Quaker, in modo provocatorio diceva a un giornalista: “Se quest’azienda fosse divisa, io ti lascerei la parte industriale e tutte le macchine e mi terrei solo il marchio. Sono sicuro che otterrei risultati molto migliori dei tuoi“. Già all’epoca il rapporto tra il target, in quel caso il consumatore, e il brand aveva un valore molto importante. Consentiva la riconoscibilità e, quindi, la fiducia e aveva pertanto un valore economico.
Ma cos’è cambiato oggi rispetto al passato?
Oggi il consumatore non vuole solo acquistare dei prodotti ma partecipare a un’esperienza, c’è un’adesione ai valori che quello specifico brand rappresenta. La reputazione, quindi costituisce un fattore determinante soprattutto per quei mercati, o settori, in cui il vantaggio competitivo non è rappresentato tanto dall’innovazione tecnologica, quanto dalla fiducia dei consumatori. È una caratteristica che c’è sempre stata, ma che oggi ricopre un ruolo ancora più rilevante proprio perché il consumatore cerca nella marca valori immateriali, sempre più legati alla sostenibilità e al rispetto per l’ambiente.
Come si costruisce e si mantiene una buona reputazione?
Prima di tutto è necessario un passaggio culturale, ovvero la comprensione da parte del top management dell’importanza che la reputazione riveste non solo come leva non di comunicazione, ma anche di business. Alcuni tra i manager di maggiore successo dicono di spendere anche il 40% del loro tempo in attività di costruzione della reputazione, come i rapporti con i media, con le risorse interne e gli stakeholder chiave. Il secondo aspetto chiave sono le risorse umane, bisogna avere professionisti di qualità tra i propri collaboratori e una struttura adeguata per affrontare sfide radicalmente nuove. Infine, come racconta bene il manuale “Comunicazione integrata e reputation management” curato da Gianluca Comin, è necessario definire i messaggi strategici da dare, lo storytelling. A volte le aziende si focalizzano sulla corsa ai nuovi canali di comunicazione ma dimenticano sottovalutano l’importanza dei messaggi da dare.
E qual è la prima cosa da fare nel caso di una crisi reputazionale?
Partiamo da un punto, la comunicazione è diventata molto più veloce, con la diffusione dei nuovi media, il ciclo delle notizie si è di molto ridotto. Se prima un’impresa poteva aspettare anche qualche ora per agire – magari prima della chiusura dei giornali del giorno dopo – oggi di fronte a una crisi reputazionale, deve rispondere entro un’ora, la cosiddetta golden hour. Quindi il lavoro di gestione della crisi inizia molto prima, anticipando scenari e preparando risposte da usare quando necessario e definendo con precisione la catena di comando.
Anche la comunicazione politica è cambiata negli ultimi anni. Secondo lei, a quali esigenze ha risposto questa trasformazione?
Principalmente sono cambiati due macro-fattori. Prima di tutto c’è stata una diminuzione della fiducia nella politica e nelle istituzioni che si è manifestata in vari modi: dalla riduzione del numero di iscritti ai partiti al calo dell’affluenza alle urne, passando per la sempre minore partecipazione alle manifestazioni. Il secondo elemento, invece, è di tipo tecnologico: i nuovi strumenti di comunicazione hanno aumentato la velocità con cui l’informazione si diffonde, ma anche quella con cui il messaggio si consuma. Questo ha avuto una serie di ripercussioni sulla comunicazione politica, che deve fare i conti con un elettore meno attento e più sfuggente.
La politica è al passo con questi cambiamenti?
In alcuni casi sì, ma non sempre. Le risposte principali a questo nuovo scenario sono state di due tipi. Alcuni sono rimasti legati alla predominanza della politica dimenticando la comunicazione, altri si sono tuffati nella comunicazione, perdendo alcuni elementi di costruzione dell’agenda politica. È chiaro che la soluzione ideale è riuscire a trovare un equilibrio. Io credo sia possibile.
A tal proposito, pensa che sia ancora fondamentale la figura dello spin doctor?
La presenza di una figura che si occupa della comunicazione è ancora molto importante perché consente al politico di concentrarsi su alcuni elementi chiave del suo mestiere come, ad esempio, la costruzione del pensiero oppure quella di una squadra capace di trasformare quel pensiero in risultati concreti. Per potersi concentrare su questi aspetti deve avere al proprio fianco persone preparate, che conoscano le logiche della comunicazione e della politica e si impegnino nella diffusione del messaggio del politico, anche tenendo conto delle esigenze di velocità che il nostro tempo richiede.
Qual è la ricetta per costruire una vincente campagna elettorale? E quali sono, invece, gli errori da evitare?
La campagna elettorale è ormai permanente e rende necessaria la responsabilizzazione di chi fa politica. In generale sono due gli elementi fondamentali da tenere presenti. Il primo è la conoscenza del territorio, che avviene sia attraverso strumenti classici – tra cui in primis – la presenza fisica, sia con mezzi per scientifici, come i sondaggi, i focus group o le analisi dei social. Il secondo elemento è la costruzione di un messaggio in linea con le esigenze del target di riferimento. Un messaggio, quest’ultimo, che deve essere diffuso con modalità nuove, non solo in modo diretto ma anche organizzando la partecipazione di volontari e attivisti, online e offline.