Proseguono in Italia i tentativi di disciplinare l’attività di lobbying. Una materia che da sempre non riesce ad andare oltre la semplice formulazione di proposte destinate però a rimanere lettera morta. Almeno così è accaduto fino ad oggi: basta pensare che i disegni di legge presentati alle Camere sono stati oltre 60 dal primo risalente al 1976 ma in nessun caso si è arrivati all’approvazione finale. Mentre nel frattempo sono state numerosissime, addirittura più di 400, le iniziative sporadiche scollegate tra loro, come quelle messe in campo da singole regioni o ministeri (qui un nostro recente articolo sulle proposte elaborate dalla Camera di Commercio Americana in Italia).
Ora però qualcosa ha ripreso a muoversi, come dimostrano le audizioni che si sono svolte nei giorni scorsi in commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, attualmente al lavoro su tre proposte di legge che tentano di disciplinare la materia: la prima è firmata dalla deputata di Italia viva Silvia Fregolent, la seconda dall’ex ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione Marianna Madia (Pd) e la terza dall’esponente del Movimento cinque stelle Francesco Silvestri.
Ma cosa prevedono queste proposte? Ad analizzarle nel dettaglio ci ha pensato l’agenzia di stampa Public Policy, che ha evidenziato affinità e differenze dei tre provvedimenti allo studio della commissione. In primis l’ambito di applicazione con l’indicazione dei soggetti interessati dalla regolamentazione. Ovvero i decisori pubblici e quindi i parlamentari, i membri del governo e i dirigenti delle amministrazioni statali.
Ma Italia viva e M5s vanno più nel dettaglio. La prima, che secondo l’analisi condotta dall’agenzia di stampa individua una platea “intermedia“, si riferisce anche agli “uffici di diretta collaborazione dei ministri, compresi i consulenti, i membri delle Autorità indipendenti, compresa la Banca d’Italia, i titolari degli incarichi di vertice degli enti territoriali e degli enti pubblici e i titolari di incarichi di funzione dirigenziale delle amministrazioni pubbliche“. Più in generale a “coloro che, in ragione del proprio ufficio pubblico, concorrono alle decisioni pubbliche“. La seconda, invece, è ancora più articolata: oltre ai soggetti già menzionati, specifica che la regolamentazione si rivolge, nello specifico, a presidenti, assessori e consiglieri regionali e comunali, a presidenti e consiglieri delle province e delle città metropolitane. E ancora, ai titolari di incarichi di funzione dirigenziale generale.
Tra i temi più rilevanti c’è sicuramente la garanzia di trasparenza, questione su cui è tuttora necessario uno sforzo maggiore. Da un lato l’istituzione di un apposito registro a cui i portatori di interesse siano obbligati a iscriversi (attualmente l’iscrizione avviene di regola su base volontaria come accade alla Camera o al ministero dello Sviluppo economico), mentre dall’altro lato la presenza di un’agenda (pubblica) degli incontri.
A proposito del registro, è richiesto che siano indicati “i dati anagrafici e il domicilio professionale dell’organizzazione, ente o società che svolge l’attività di lobbying e quelli identificativi della realtà per la quale è svolta l’attività di lobbying” e che siano altresì specificate “le risorse economiche e umane disponibili per lo svolgimento dell’attività di lobbying“. Elementi, questi, su cui sono tutti d’accordo. Ma c’è chi va più nel dettaglio. Secondo la proposta a firma Italia viva, le informazioni richieste dovrebbero essere maggiori come, ad esempio, la composizione del capitale sociale nel caso di società di capitali, eventuali rapporti di tipo familiare con i decisori oppure l’interesse specifico che si rappresenta. Secondo il disegno di legge Madia, invece, il registro dovrebbe contenere pure informazioni sugli argomenti affrontati durante gli incontri con rappresentanti del governo o con dirigenti dello Stato. Ma chi dovrà tenerlo? Dal confronto condotto dall’agenzia di stampa diretta da Leopoldo Papi “la proposta M5s lo istituisce presso l’Antitrust, la proposta Iv presso l’Anac e la proposta Pd presso la Presidenza del Consiglio“.
Chiaro è che l’iscrizione al registro dovrà prevedere una serie di vantaggi per i lobbisti, che in questo modo avranno accesso alle istituzioni e potranno contribuire all’attività legislativa. Impossibile, però, iscriversi se si è ricoperto il ruolo di decisore negli anni precedenti (uno o due, a seconda della proposta) o se condannati per reati contro la pubblica amministrazione. Il fenomeno delle cosiddette revolving doors cui ha fatto riferimento pure il presidente e fondatore di Comin & Partners Gianluca Comin: “Bisogna vietare che un lobbista possa ricoprire una carica pubblica elettiva – o comunque ricoprire il ruolo di decisore – e viceversa, almeno in un lasso di tempo congruo che non sia inferiore a due anni“. In questo modo si eviterà qualsiasi tipo di conflitto di interessi.
Tra le misure pensate per garantire un elevato livello di trasparenza c’è anche l’agenda degli incontri. Già prevista a livello europeo, favorirebbe l’accesso a dati e informazioni più precise riguardo a quali interessi il decisore pubblico ha preferito dare conto. A individuarla come strumento imprescindibile sono le proposte del Partito democratico e del Movimento cinque stelle: mentre il testo della prima prevede che l’agenda degli incontri venga istituita presso ciascun ministero, contenga dati su lobbisti, governo e temi dell’incontro e sia aggiornata una volta al mese, per la proposta pentastellata sarà necessario, invece, un aggiornamento quotidiano da parte di ciascun rappresentante di interessi. Una misura da affiancare a “una relazione annuale che il rappresentante di interessi particolari deve consegnare entro il 31 gennaio di ogni anno“.
Un sistema del genere, tuttavia, non sarebbe pienamente efficace senza un quadro sanzionatorio volto a colpire chi esercita l’attività in modo improprio. In generale, il primo meccanismo previsto è la multa per chi opera pur non essendo iscritto al registro: la sanzione va da 10.000 a 100.000 euro nel caso della proposta Pd e da 20.000 a 200.000 nel caso di Italia viva. Inoltre, sono previste la sospensione e la cancellazione dal registro nelle ipotesi di gravi violazioni o, come previsto dalla proposta del M5s, per violazione del codice deontologico. Ma chi controlla i decisori pubblici? Il testo di Italia viva propone di sottoporre a sanzioni anche loro nei casi in cui non comunichino le violazioni da parte dei lobbisti: la multa andrebbe dai 5.000 ai 50.000 euro.