Il prezzo del petrolio ha segnato nei giorni scorsi un calo del 30%, fino a raggiungere livelli prossimi ai minimi storici. Un evento che è entrato prepotentemente nelle discussioni dei maggiori Paesi al mondo e delle piazze finanziarie, già segnate dalla diffusione del coronavirus.
Era dal 17 gennaio del 1991, data di inizio della prima guerra del Golfo, che il prezzo del barile non mostrava un declino di questa portata. Cosa è successo? E perché si è verificata questa situazione? I fattori sono molteplici. Innanzitutto, pesano le tensioni tra i Paesi produttori. Proprio sabato l’Arabia Saudita ha ridotto i prezzi del petrolio all’esportazione di quasi il 10%. Le conseguenze sono state subito significative. Il Brent è crollato di circa 11 dollari al barile, arrivando a scambiare a 31 dollari, prima di risalire a 35 e il WTI ha toccato un minimo di 27,3 dollari. I futures scendevano del 3% circa e le borse, dal Pacifico all’Atlantico passando per il Vecchio continente, registravano perdite significative. La decisione dell’Arabia Saudita fa seguito a una spaccatura in seno all’Opec Plus, l’alleanza che da tre anni riunisce i Paesi produttori sull’asse Mosca-Riad: dopo mesi di schermaglie, la Russia ha rifiutato la proposta, ispirata dall’Arabia Saudita, di ridurre la produzione (già diminuita di 4,4 milioni di barili al giorno da novembre 2016) di ulteriori 1,5 milioni di barili.
In parte, si tratta di una risposta all’emergenza sanitaria di queste settimane. Il coronavirus comprime l’economia globale e, con essa, la domanda di petrolio: in previsione di questo calo, il prezzo del barile si era già ridotto di circa 20 dollari dall’annuncio della diffusione del Covid-19 in Cina, un Paese che assorbe il 14% della domanda globale di petrolio e risponde per più dell’80% della crescita della domanda nel 2019. Tuttavia, se la Russia dichiara di poter resistere a un periodo prolungato di prezzi tra i 25 e i 30 dollari al barile (Goldman Sachs prevede altresì una riduzione fino ai 20 dollari), a costo di dare fondo alle riserve sovrane, l’Arabia Saudita, con la scelta di abbassare i prezzi, ha dato la stura a un aumento generalizzato della produzione. Saudi Aramco ha annunciato 2,6 milioni di barili al giorno in più sul mercato, cioè un +25% rispetto alla produzione attuale. “Dal 1° aprile non ci saranno più restrizioni a produrre né per l’Opec né per i Paesi non Opec», ha dichiarato il ministro russo Alexander Novak abbandonando il vertice Opec Plus.
Si prefigura così una guerra di prezzo per il presidio delle quote di mercato (già l’Iraq ha applicato sconti di listino) in condizioni di eccezionalità: se dal lato della domanda assistiamo a un shock negativo a causa della debolezza dell’economia globale, dal lato dell’offerta se ne registra, invece, uno positivo, spinto da una dinamica ribassista dei prezzi. A farne le spese potrebbero esserne in tanti, dal Venezuela – alleato russo – all’Iran – nemico acerrimo dei sauditi – passando per le compagnie petrolifere americane, nel mirino delle azioni russe.
Ma sono le quote di mercato dello shale oil americano e dello shale gas a esso associato a essere minacciate: i prezzi attuali sono lontani dal breakeven e bloccano lo sviluppo di nuove risorse di shale. Le obbligazioni del settore Oil & Gas americano mostrano perdite consistenti, con elevati rischi di default, tali da far parlare di aiuti di Stato da parte del Tesoro. Non è un caso che il presidente americano Donald Trump si sia affrettato a biasimare su Twitter lo scontro tra Mosca e Riad: “L’Arabia Saudita e la Russia stanno discutendo sul prezzo e sul flusso del petrolio. Questo, e le false notizie, sono la ragione del calo del mercato!“. E il mercato dell’oro nero è stato oggetto di un colloquio tra lo stesso Trump e il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman nella giornata di lunedì. “Ieri, il presidente Donald J. Trump ha parlato con il principe ereditario Mohammad Bin Salman del Regno dell’Arabia Saudita. Il presidente e il principe ereditario hanno discusso dei mercati globali dell’energia e di altre importanti questioni regionali e bilaterali”, ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Judd Deere.
Ma è tutto il comparto petrolifero europeo a essere in forte sofferenza: l’indice Euro Stoxx 600 Energia, i titoli delle italiane Saipem, Tenaris e Eni, quelli di Total, BP, Royal Dutch Shell, oltre alla russa Rosneft, segnano perdite in doppia cifra, riportando indietro di decenni la capitalizzazione del settore. Ed è anche l’Arabia Saudita a subire alcuni contraccolpi. Le azioni del principe Bin Salman, assunte in un clima di lotta intestina (è di sabato la notizia dell’arresto di tre membri della famiglia reale) hanno causato un calo superiore al 9% delle azioni di Saudi Aramco, portandole sotto il prezzo di collocamento dell’Ipo di dicembre, e un ribasso dell’8% della borsa di Riad.
Quali sono le conseguenze per i consumatori occidentali? Sicuramente potranno beneficiare della riduzione del prezzo del petrolio, ma la prospettiva di deflazione in un contesto recessivo comporta gravi rischi.