Dalla fine di novembre 2019 il Covid-19, comparso per la prima volta in Cina, si è diffuso su scala globale, ponendo una sfida multi-settoriale e, soprattutto, intercontinentale. L’Africa fra tutti è il continente che sembrava essere momentaneamente rimasto escluso dall’emergenza. Tuttavia a partire dall’inizio di marzo, il numero di casi nell’area è aumentato in modo significativo e ha cominciato a destare numerose preoccupazioni, sia a livello locale quanto a livello internazionale.
E se in Europa l’impatto del virus sulle economie e sui sistemi sanitari sta producendo effetti che mettono a dura prova la resilienza degli Stati membri, in un contesto come quello africano potrebbe produrre effetti ancor più disastrosi.
Fino alla metà di febbraio il coronavirus era percepito dai governi e dai media come un problema europeo. Tuttavia, nelle settimane successive si è registrata una crescita significativa dei contagi e, alla metà di marzo, erano già 25 i Paesi africani che riportavano la presenza di casi nel proprio territorio. Al 31 di marzo, il numero totale dei casi in Africa riportati dal bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è salito a 5.142, arrivando a toccare ben 48 Paesi.
Molti Stati hanno intrapreso misure simili a quelle già adottate in Europa e nel resto del mondo. Ad esempio, il Sudafrica, il Ruanda e il Kenya hanno optato per la chiusura delle frontiere, il divieto di assembramento, misure di distanziamento sociale e restrizione ai viaggi. Il problema più grande, tuttavia, riguarda quei Paesi che vivono situazioni interne estreme, i cui sistemi sanitari sono inesistenti o messi a dura prova da anni di conflitti, crisi alimentari e carestie o, in svariati casi, dalla presenza di malattie endemiche, comunemente tifo, colera, malaria, tubercolosi e HIV.
E anche laddove non si sperimentano tali livelli di criticità, le grandi città sono i centri che destano la più grande preoccupazione, se si considerano anche gli slum e gli insediamenti informali che le circondano. La popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno supera il 40% in Africa Sub-sahariana. In questi contesti, dove l’accesso all’acqua corrente o ai servizi igienici privati sono rari e spesso del tutto assenti, contenere un virus altamente contagioso potrebbe risultare una sfida senza precedenti.
Da tenere in considerazione accanto alla dimensione sanitaria, anche quella economica. Come nel resto del mondo i primi effetti dello scoppio del virus cominciano a produrre ripercussioni sull’economia africana. Già dalla metà di febbraio, il calo della domanda di petrolio, gas e di materie prime su scala globale (e in particolare da parte della Cina, principale partner commerciale per una gran parte delle economie africane), ha portato ad un drastico calo dei prezzi, rallentando le economie di svariati Stati. L’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) ha stimato che la pandemia impatterà negativamente sul prodotto interno lordo della regione, rallentandone la crescita dal 3,2 all’1,8% nel 2020.
Inoltre, la combinazione delle crescenti difficoltà economiche e la risposta lenta e disomogenea che arriva dalle diverse realtà del continente contribuiscono al diffondersi di crisi politiche, che vanno ad aggravare un quadro già estremamente complesso e delicato, mettendo a rischio la sicurezza e la protezione della popolazione.
Per cercare di contenere la diffusione del virus, l’OMS ha individuato un pacchetto di linee guida per la gestione dell’emergenza che includono, fra le altre, misure come il distanziamento sociale e la quarantena, il rimpatrio dei cittadini e campagne di sensibilizzazione rivolte a varie categorie, quali governi, personale sanitario o ancora imprese e lavoratori. In queste ore è allo studio un piano volto a organizzare un coordinamento su base regionale, per cercare di garantire l’accesso alle cure mediche e soprattutto per limitare la diffusione del virus. Tale attività di supporto e monitoraggio viene svolta in piena collaborazione con l’Unione africana che, a sua volta, ha lanciato una strategia continentale per la gestione dell’emergenza su scala inter-regionale, che prevede la creazione di una Africa task force per il coronavirus (Aftcor), con l’obiettivo di coordinare le iniziative politiche ed economiche degli Stati membri.
E qual è il ruolo dell’Unione europea? Attualmente, l’Ue prevede di stanziare 15 milioni di euro in Africa, per sostenere gli sforzi dei governi nell’attuazione di misure cruciali come la diagnosi rapida e la sorveglianza epidemiologica. Grazie agli sforzi congiunti con l’OMS, 47 Paesi africani hanno ora a disposizione il kit per effettuare il test per il Covid-19.
Senza dubbio un intervento più strutturato non tarderà ad arrivare: la collaborazione europea con l’Africa è in linea con la strategia lanciata lo scorso 9 marzo dalla Commissione, un piano d’azione che prevede l’intensificazione della cooperazione tra i due continenti in una serie di aree strategiche. Il 27 febbraio 2020 la Commissione Ue e la quella dell’Unione africana si sono riunite ad Addis Abeba per discutere la futura cooperazione fra i due continenti. La comunicazione di inizio marzo individua cinque settori principali di azione. Nello specifico, transizione verde, trasformazione digitale, crescita e occupazione sostenibili, pace e governance e, infine, migrazione e mobilità.
Tali obiettivi, che riprendono pienamente le priorità dell’agenda europea, devono essere perseguiti attraverso una serie di iniziative mirate. Sotto un profilo economico, il punto di partenza deve prevedere un aumento sostanziale degli investimenti in un’ottica di sostenibilità e piena integrazione economica, tramite l’introduzione di politiche che vadano a produrre effetti sul settore imprenditoriale attraverso innovazione, trasparenza e competitività. Ma la strategia non si ferma a una dimensione meramente economica: in linea con la Skills agenda della Commissione, anche la strategia Ue-Africa prevede un focus sull’aumento delle competenze e delle conoscenze in particolare di donne e giovani, intervenendo in termini di un aumento dei diritti sociali. Un piano che può essere realizzato in un contesto in cui siano garantiti la democrazia, lo Stato di diritto, la parità di genere e i diritti umani, supportando i governi nel processo di ristrutturazione politica necessario per tale transizione.
Ma come saranno sostenute queste iniziative? Secondo le proposte della Commissione europea, nell’attuale negoziato sul futuro bilancio a lungo termine il 60% del nuovo strumento per il finanziamento dell’azione esterna dell’Ue per il periodo 2021-2027 sarà dedicato alla costruzione dei vari tool necessari per la realizzazione delle priorità individuate dalla strategia Ue-Africa.
La nuova strategia comune dovrebbe essere approvata formalmente in occasione del summit tra Unione europea e Unione Africana che dovrebbe svolgersi a ottobre 2020 e che sarà l’ultima tappa di una serie di incontri nel corso dell’anno. Il prossimo appuntamento sarà la riunione ministeriale Ua-Ue del mese di maggio, alla quale parteciperanno i ministri degli Affari esteri di entrambi i continenti, compatibilmente con le evoluzioni dettate dall’emergenza attuale. Data l’attuale situazione di crisi e le sfide tutte nuove che questa situazione impone, si attende una comunicazione da parte della Commissione in cui vengano identificate le eventuali nuove priorità e misure per portare avanti la cooperazione e supportare il continente africano nella lotta al coronavirus.