È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’8 aprile il decreto legge numero 23 del 2020, meglio conosciuto come decreto Liquidità, con il quale il governo ha disposto “misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”.
Il provvedimento, in vigore dal 9 aprile, prevede numerose misure in materia di accesso al credito, di adempimenti fiscali per le imprese e di proroga dei termini amministrativi e processuali. Nello specifico, si segnalano le misure di accesso al credito per le imprese, quelle di sostegno alla liquidità, all’esportazione, all’internazionalizzazione e agli investimenti. Ma ci sono pure le disposizioni impattanti sulla disciplina relativa alla sottoscrizione dei contratti e quelle introduttive di forme di semplificazione delle comunicazioni, il differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la sospensione di versamenti tributari e contributivi e delle ritenute, l’assistenza fiscale a distanza e l’estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori assunti dal 24 febbraio al 17 marzo 2020. Sul piatto vengono messi 200 miliardi di prestiti garantiti dallo Stato fino al 90% per tutte le imprese, altri 200 miliardi di garanzie per l’export, il potenziamento e la semplificazione del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese e le Partite IVA con prestiti garantiti fino al 100%.
Nell’alveo delle misure varate a tutela delle imprese nazionali, non possono non segnalarsi le disposizioni che vanno a rafforzare il golden power di cui è titolare l’esecutivo e che si incanalano in un lungo filone di interventi che negli anni hanno ridisegnato la disciplina secondo una logica improntata al graduale rafforzamento di tali poteri speciali.
Il punto di partenza, storicamente, è segnato dall’introduzione nel nostro ordinamento, ad opera del decreto legge numero 332 del 1994, convertito con la legge numero 47 del 30 luglio 1994, della golden share, strumento tipico della tradizione britannica che fa riferimento alla conservazione da parte dello Stato, nell’ambito di procedure di privatizzazione di imprese in origine pubbliche, di una partecipazione azionaria con poteri esorbitanti rispetto a quelli spettanti a un normale azionista. Il decreto legge numero 21 del 15 marzo 2012, convertito con modificazioni con la legge numero 56 del 2012, invece, ha segnato il passaggio dalla golden share al cosiddetto golden power, con cui si fa riferimento a una serie di poteri esercitabili nei settori della difesa e della sicurezza nazionale nonché in alcuni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni in relazione a tutte le società, sia pubbliche che private.
Ma cosa prevedono questi poteri? E quanto sono pervasivi? In pratica si possono imporre specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza o porre il veto all’adozione di delibere relative a operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario. Ma ci si può anche opporre all’acquisto di partecipazioni, ove l’acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Lo stesso decreto ha fissato termini e procedure da osservare, prescrivendo specifici obblighi di notifica in capo alle aziende interessate.
Successivamente, il decreto legge numero 148 del 2017, convertito con la legge numero 172 del 2017, è intervenuto sulla disciplina dettata dal decreto legge numero 21 del 2012, estendendo l’esercizio dei poteri speciali applicabili nei settori dell’energia, delle comunicazioni e dei trasporti agli asset “ad alta intensità tecnologica” riferendosi, a titolo esemplificativo alle infrastrutture “critiche” o “sensibili”, tra cui immagazzinamento e gestione dati e strutture finanziarie e alle tecnologie “critiche”, compresa l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, le tecnologie con potenziali applicazioni a doppio uso, la sicurezza in rete, la tecnologia spaziale o nucleare. Infine, alla sicurezza dell’approvvigionamento di input “critici” e all’accesso a informazioni “sensibili” o capacità di controllare le informazioni “sensibili”. La disciplina trova applicazione principalmente nel caso in cui l’acquisto a qualsiasi titolo di partecipazioni in società che detengono gli asset strategici avvenga da parte di un soggetto esterno all’Unione europea e che il governo può esercitare i poteri speciali non solo quando questo acquisto comporti una minaccia di grave pregiudizio agli interessi essenziali dello Stato (e, cioè, relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti), ma anche quando esso possa minare la sicurezza o l’ordine pubblico.
È del 2019 invece il decreto legge numero 22, il cosiddetto decreto Brexit, convertito con modificazioni dalla legge numero 41 del 20 maggio 2019, che, sempre in una logica di estensione e rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, ha aggiunto all’ambito previsto dalla legge numero 56 del 2012 l’articolo 1 bis, rubricato “Poteri speciali inerenti le reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G”. In questo senso, sono inclusi nelle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G.
Si tratta di un meccanismo di tutela dello Stato che scatta non solo per eventuali acquisizioni di partecipazioni azionarie, ma anche nel caso di forniture di materiali e servizi tutte le volte in cui contratti o accordi aventi oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti 5G, ovvero l’acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alla predetta realizzazione o gestione siano poste in essere con soggetti esterni all’Unione europea. Il tutto previa valutazione anche degli elementi indicanti la presenza di fattori di vulnerabilità che potrebbero compromettere l’integrità e la sicurezza delle reti e dei dati che vi transitano.
Dopo la mancata conversione e, dunque, la conseguente decadenza del decreto legge numero 64 adottato nel luglio 2019 che andava a modificare la disciplina contenuta nel decreto legge numero 21 del 2012, il 21 settembre 2019 è stato varato il decreto legge numero 105 del 2019, convertito con la legge numero 133 del 2019, recante disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Un intervento di particolare rilevanza che all’articolo 1 ha istituito il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica al fine di assicurare un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori (pubblici e privati aventi una sede nel territorio nazionale), da cui dipende l’esercizio di una funzione essenziale dello Stato, ovvero la prestazione di un servizio essenziale per il mantenimento di attività civili, sociali o economiche fondamentali per gli interessi dello Stato e dal cui malfunzionamento, interruzione, anche parziali, ovvero utilizzo improprio, possa derivare un pregiudizio per la sicurezza nazionale. Lo stesso decreto detta all’articolo 4 bis disposizioni specifiche tese ad assicurare la sicurezza delle reti 5G rimettendo all’adozione di specifici decreti del presidente del Consiglio dei ministri l’individuazione dei soggetti rientranti nel perimetro nonché la fissazione delle specifiche procedure da osservare.
Ebbene, a un quadro normativo a così elevata complessità il Capo III del decreto liquidità (artt. 15-17) aggiunge un ulteriore tassello sempre ispirato a una logica di estensione dei poteri speciali in capo all’esecutivo. Al chiaro fine di evitare che nell’ambito di una congiuntura economica sfavorevole come quella che stiamo vivendo le imprese italiane di settori strategici possano essere acquistate all’estero a prezzi particolarmente ribassati, si prevede, fino alla data di entrata in vigore del primo dei decreti sopra citati, l’estensione del golden power anche al settore alimentare, alla sanità, alle banche e alle assicurazioni. Si tratta di un’estensione che non si limita all’inclusione di nuovi settori ma che ingloba anche le acquisizioni all’interno dell’Unione europea non solo per controllo ma anche per quote a partire dal 10%. Talmente è forte l’esigenza di assicurare l’efficacia di tale rafforzamento del golden power che le norme consentono addirittura di avviare d’ufficio l’esercizio dei poteri speciali anche per operazioni non notificate. Inoltre, con un intervento sull’articolo 120 del Testo unico in materia finanziaria (Tuf) vengono riviste al ribasso le soglie per le comunicazioni alla Consob e viene esteso l’obbligo anche alle società ad azionariato diffuso, estendo di fatto la protezione anche alle piccole e medie imprese.
Un’altra tessera di questo enorme puzzle è stata dunque apposta. Siamo di fronte a un’opera molto articolata e complessa che ora attende l’adozione dei Dpcm (il primo dei quali avrebbe dovuto vedere la luce a marzo) ai quali è rimesso il compito di fare chiarezza e rendere operativa la disciplina sul perimetro di sicurezza cibernetica fondamentale per assicurare lo sviluppo di reti e servizi digitali, prime tra tutte forse, per importanza, le reti 5G da cui dipenderà, in larga parte, la competitività del nostro Paese. È una macchina complessa quella che la normativa ha azionato e che nonostante il prevedibile e in larga parte comprensibile ritardo dovuto all’emergenza sanitaria da fronteggiare, non deve assolutamente arrestarsi nella consapevolezza che il completamento del quadro normativo potrebbe rappresentare uno degli elementi catalizzatori dell’economia una volta che questa difficile parentesi sarà definitivamente chiusa.
L’INDUSTRIA ITALIANA (ED EUROPEA) TRA PROTEZIONE DEGLI ASSET STRATEGICI E URGENZE DI RICONVERSIONE