Rivedere l’impianto del Servizio sanitario nazionale imparando dal Covid-19


Articolo
Eleonora Mazzoni
Servizio

Nelle ultime settimane è stato più volte ripetuto che il Servizio sanitario nazionale si trova oggi in emergenza anche a causa degli importanti tagli finanziari subiti che avrebbero portato, tra l’altro, a una forte riduzione dei posti letto, in particolare quelli disponibili per terapia intensiva. Come evidenziato alla fine dello scorso anno dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, il Servizio sanitario nazionale è in realtà apparso piuttosto efficiente in termini di costi e, secondo alcuni indicatori, anche efficace (si sottolineano il miglioramento della speranza di vita alla nascita e della speranza di vita in buona salute, la riduzione della mortalità prematura e della mortalità evitabile).

Negli anni si è però assistito a politiche di consolidamento che si sono accompagnate a un significativo disinvestimento nella sanità pubblica e la contrazione delle risorse ha favorito solo in parte l’efficienza del sistema e una efficace riorganizzazione dell’offerta. Le conseguenze sono state un peggioramento in termini di accesso fisico ed economico alle cure, soprattutto nel periodo della crisi economica a partire dal 2009, e uno spostamento della domanda verso la sanità privata.

Il personale è stata una delle principali voci a farne le spese, con una riduzione in valore assoluto di quasi 2 miliardi di euro tra il 2010 e il 2018, nonostante un recupero parziale nell’ultimo anno intervenuto grazie alla ripresa della contrattazione. Alla riduzione del personale degli enti sanitari pubblici si è accompagnato a sua volta una riduzione degli investimenti in conto capitale e il ridimensionamento delle strutture ospedaliere esistenti, che ha rappresentato un obiettivo esplicito delle politiche sanitarie (blocco dei turnover, chiusura unità ospedaliere, riduzione dei posti letto, accorpamento delle Asl) volte a spostare le cure su strutture meno care e più capaci di essere vicine ai cittadini.

Tuttavia l’insufficiente e ineguale potenziamento dei servizi territoriali ha invece dato segnali di razionamento delle prestazioni rispetto alla domanda di salute. Inoltre se da un lato i piani di rientro si sono rivelati degli strumenti efficienti nel riportare in equilibrio i conti dei servizi sanitari regionali, dall’altro sono molti gli indicatori che continuano a evidenziare le differenze sia in termini di quantità che di qualità dei servizi sanitari forniti tra le Regioni italiane, con evidente ritardo nella capacità di garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza (LEA). Rilevanti restano inoltre anche le differenze territoriali nella dotazione e grado di ammodernamento delle infrastrutture.

Alcune lezioni sono state già apprese dall’attuale crisi da coronavirus su come prepararsi meglio a questo tipo di shock in futuro rendendo il nostro sistema sanitario (e non solo) più resiliente. Tra le principali si riconoscono la necessità di operare una pianificazione della forza lavoro sanitaria che consideri la probabilità e la fattibilità di affrontare scenari che portino la domanda di salute oltre ai picchi annuali o stagionali previsti; l’opportunità di migliorare l’accesso alle cure per i pazienti sul territorio passando da una visione “ospedalocentrica” a un approccio “domiciliare” dell’assistenza medica a favore del cittadino cambiando il tradizionale ruolo di tutti gli attori coinvolti nell’assistenza sanitaria in modo che alcuni di essi possano assumere sul territorio nuovi o maggiori compiti che possano scaricare da un lato le strutture ospedaliere e dall’altro il tempo del personale medico che potrà essere così più facilmente dirottato sulla gestione di casi più complessi in situazioni di emergenza; la necessità di sfruttare al massimo i dati e gli strumenti digitali per migliorare la sorveglianza e l’assistenza socio-sanitaria e intraprendere nuove strade per individuare, prevenire e rispondere all’ emergenza e in generale alla domanda di salute della popolazione. Sull’ultimo punto non va dimenticato che allo stesso tempo i rischi della digitalizzazione massiva in questo campo sia durante che dopo l’epidemia dovranno essere monitorati e gestiti per evitare che l’opportunità derivanti dalla digitalizzazione derivino in maggiori disuguaglianze nell’accesso alle cure e negli outcome di salute, esacerbando le differenze e introducendo nuovi colli di bottiglia nel funzionamento del sistema (la formazione di nuove competenze resta ad esempio in questo senso un tema fondamentale sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta).

In quest’ottica è lodevole lo sforzo fatto attraverso l’introduzione nel testo del decreto-legge 17 marzo 2020, numero 18 dell’articolo 17-bis (Disposizioni sul trattamento dei dati personali nel contesto emergenziale) che prevede la possibilità per tutti i soggetti e le amministrazioni operanti nel Servizio sanitario nazionale e di protezione civile, di trattare i dati personali necessari all’espletamento delle loro funzioni nell’ambito dell’emergenza, anche diversi da quelli di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento (Ue) 2016/679, nel caso in cui sia indispensabile ai fini dello svolgimento delle attività connesse alla gestione dell’emergenza sanitaria. Pur adottando misure appropriate a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati è anche previsto che le autorizzazioni al trattamento dei dati personali possano essere in questi casi conferite tramite modalità semplificate (anche oralmente), purché tutto venga ricondotto nelle more della normale gestione della materia una volta finita l’emergenza.

Per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale il “cura Italia” stanzia nuove risorse per circa 3,2 miliardi di euro. Il decreto prevede infatti un incremento di 1.410 milioni di euro per il 2020 del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato e un incremento, nella misura di 1.650 milioni per il 2020, del Fondo per le emergenze nazionali (articolo 18). Nel complesso 250 milioni di euro sono intesi a elevare le risorse destinate alla remunerazione delle prestazioni di lavoro straordinario del personale sanitario direttamente impiegato nelle attività di contrasto all’ emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del virus e 100 milioni di euro possono essere destinati al conferimento, da parte degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale, di incarichi di lavoro autonomo ad iscritti agli albi delle professioni sanitarie e sociosanitarie, compresi gli specializzandi iscritti all’ultimo e al penultimo anno di corso delle scuole di specializzazione.

Sempre a valere sul livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale il decreto autorizza inoltre le regioni, le province autonome e le aziende sanitarie a stipulare accordi per l’acquisto di prestazioni sanitarie in deroga ai limiti di spesa previsti dalla legislazione vigente con un’autorizzazione di spesa pari a 240 milioni di euro per il 2020, permettendo inoltre quando necessario di stipulare accordi con strutture private non accreditate. Il decreto contiene inoltre le norme relative alla sperimentazione clinica dei farmaci e dei dispositivi medici, con riferimento a pazienti affetti dal virus, nonché l’uso compassionevole dei farmaci in fase di sperimentazione destinato agli stessi. L’articolo 17 rende infatti possibile per l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) l’accesso a tutti i dati relativi agli studi sperimentali ed usi compassionevoli, con riferimento esclusivo ai pazienti affetti da Covid-19, e individua nel comitato etico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive-IRCCS “Lazzaro Spallanzani” il comitato etico unico nazionale per la valutazione delle sperimentazioni in oggetto, andando de facto a superare le criticità che di solito caratterizzano lo svolgimento e la valutazione di sperimentazioni cliniche in Italia: la non uniformità dei criteri di valutazione, l’eccessivo numero dei comitati etici, l’eccesso di burocrazia (tralasciando le carenze di finanziamenti pubblici ai centri di ricerca e le spese che i promotori/sponsor spesso sostengono per supportare la ricerca).

La pandemia di cui siamo vittime sta inducendo in modo evidente la classe politica a interrogarsi seriamente sui limiti del Servizio sanitario nazionale e sulle misure operative per superarli e, anche dopo lo stanziamento di notevoli risorse per la sanità disposte dal decreto cura Italia, occorrerà continuare a rilanciare un servizio sanitario pubblico equo e universalistico che rappresenta una conquista sociale irrinunciabile per i cittadini pianificando una coraggiosa inversione di rotta che riveda in profondità alcune delle politiche strutturali del nostro paese, investendo per la centralità dei cittadini e dei pazienti. Tra queste le profonde diversità rese possibili dall’adozione di singole strategie regionali che da sempre caratterizzano il divario sanitario in Italia. La regionalizzazione della salute durante la gestione di questa emergenza ha infatti da un lato dimostrato di essere capace di rispondere alla crisi anche attraverso interventi ed esempi virtuosi, e dall’altro evidenziato come la varietà di approcci e di risorse strutturali e finanziarie disponibili si riveli quantomai inadeguata a gestire la complessità sanitaria di una crisi che riguarda l’intero sistema.

Direttore Area Innovazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Economia Politica presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza, con una tesi sperimentale sulla scomposizione statistica del differenziale salariale tra cittadini stranieri ed italiani.

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