Il 4 maggio dovrebbe cominciare la cosiddetta fase 2, ovvero il lungo e graduale percorso che ci porterà fuori dal lockdown imposto dall’epidemia da Covid-19. Nonostante le prossime riaperture, è però evidente che la pandemia, seppur abbia allentato leggermente la morsa, rappresenti ancora un gravissimo rischio per la salute pubblica e per la tenuta del Sistema sanitario nazionale. Da qui la necessità, soprattutto in questo momento di passaggio, di utilizzare sistemi volti a limitare il più possibile il rischio di contagi di ritorno.
Tra questi il più dibattuto è sicuramente l’app Immuni in corso di sviluppo da parte di Bending Spoons, la software house milanese scelta dal ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione per sviluppare il sistema di tracciamento dei contatti. Noi dell’Istituto per la Competitività (I-Com) avevamo già parlato delle potenzialità degli strumenti tecnologici nella lotta al Covid-19 nei nostri precedenti articoli. Le app sono state una delle armi principali utilizzate da Paesi come Cina e Corea del Sud per controllare gli spostamenti delle persone e individuare tempestivamente potenziali focolai.
L’utilizzo di questi sistemi, seppur molto efficace, genera inevitabilmente enormi questioni di privacy e di gestione dei dati personali. Il problema principale dell’app Immuni, almeno nella sua versione beta, risulta essere l’utilizzo di un sistema centralizzato. Per capire meglio questo punto, è estremamente utile spiegare come funziona questa applicazione: a ciascuno smartphone in cui viene installata l’app viene associato un numero identificativo anonimo. Questo codice viene scambiato via bluetooth con tutti gli altri dispositivi che entrano nelle vicinanze dell’utilizzatore. Quando un operatore sanitario identifica un contagiato da Covid-19, i terminali di tutti gli individui entrati in contatto con il codice “infetto” verranno avvisati di essere stati potenzialmente esposti al virus. Utilizzando il sistema centrale, i codici anonimi vengono assegnati a ciascuno smartphone da un server, appunto, centrale, che conserva al suo interno sia i dati di contatto sia le chiavi con cui renderli potenzialmente identificabili. Un problema, questo, che potrebbe essere superato utilizzando un sistema decentralizzato, in cui sarebbe proprio lo smartphone a generare il codice anonimo.
La scelta di cambiare strategia nasce sicuramente dalle innumerevoli pressioni ricevute sia da esperti del settore che dal mondo della politica. Un esempio è l’indagine del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copasir) mirata a verificare la sicurezza dall’applicazione. Secondo quanto affermato dall’amministratore delegato di Bending Spoons, Luca Ferrari, l’app dovrebbe essere senza scopo di lucro. A garanzia della sua trasparenza, sarà inoltre open source (la licenza concessa alla Presidenza del Consiglio dei ministri è una Mozilla Public License 2.0). Tutti questi accorgimenti dovrebbero rendere l’applicazione più sicura per gli utilizzatori, ma siamo sicuri che uno strumento che esercita questo livello di controllo su milioni di persone sia destinato a scatenare discussioni ancora per molto tempo nonostante il suo obiettivo sia quello di debellare la piaga terribile del Covid-19.