Nel 2020 ci sarà un notevole aumento del numero dei poveri a causa del Covid-19. A lanciare l’allarme è stata la Banca mondiale in un post pubblicato sul suo Data blog, secondo cui quest’anno si registrerà un incremento delle persone in povertà estrema (dal 1990 a oggi sono 1,9 miliardi in meno) che si aggirerà tra i 40 e i 60 milioni, con le stime migliori che ne prevedono 49. Secondo i parametri ufficiali – per cui una persona in povertà estrema è quella che vive con meno di 1,90 dollari al giorno – il tasso di povertà globale aumenterà dall’8,2 all’8,6%, tornando così vicino ai livelli del 2017 e registrando, per la prima volta, un incremento dal 1998. Prima dell’emergenza sanitaria, si prevedeva una diminuzione dello 0,3%.
Considerando quanti vivono in questa situazione, dai dati della Banca mondiale emerge che il totale ammonta a 736 milioni, di cui 413 si trovano nell’Africa sub-sahariana, dove negli ultimi due anni si è registrato un aumento di 9 milioni, con il tasso di povertà infantile che è arrivato al 51%. Ed è proprio questa la regione che dovrebbe essere più colpita. Secondo le proiezioni, in quella zona ci sarà un aumento di 23 milioni di persone in povertà estrema mentre nell’Asia meridionale l’incremento dovrebbe essere pari a 16 milioni. Se prendiamo in considerazione, invece, i singoli Stati, i più colpiti saranno l’India (12 milioni), la Nigeria (5 milioni) e la Repubblica democratica del Congo (2 milioni) mentre Cina, Sud Africa e Indonesia subiranno un aumento superiore al milione. Considerando anche le persone che vivono con meno di 5,50 dollari al giorno, invece, si stima che l’incremento della povertà sarà di circa 100 milioni. In tal senso, zone come l’Asia Pacifico-Orientale, l’America Latina, i Caraibi e la regione che comprende Medio Oriente e Nord Africa dovrebbero avere tutte 10 milioni di poveri in più.
Le stime della Banca mondiale si basano su diversi parametri, tra cui il World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, secondo cui il 2020 porterà a una decrescita del prodotto interno lordo mondiale del 3%, con le economie avanzate che subiranno una contrazione media del 6% mentre i Paesi in via di sviluppo dell’1. Non deve dunque sorprendere il fatto che si preveda che, entro il 2030, il 66% delle persone in povertà estrema sarà costretto a vivere in società fragili e colpite da conflitti. Motivo per cui la Banca mondiale ritiene particolarmente urgente e necessario intensificare gli sforzi per evitare che ciò accada.
Inoltre, l’istituzione con sede a Washington ha stimato che i trasferimenti verso gli Stati a medio e basso reddito provenienti da lavoratori stranieri diminuiranno del 20%, segnando così il declino più grande dal 1980 a oggi, mentre nel 2009 la crisi finanziaria aveva prodotto un calo del 5%. A causa dell’emergenza economica derivante dalla pandemia e dal crollo del prezzo del petrolio, questi cash outflow diminuiranno particolarmente in Europa e in Asia centrale (28%) mentre l’America Latina vedrà un calo del 19% e l’Asia Pacifico-Orientale del 13%. D’altro canto, saranno penalizzate soprattutto realtà come Tonga, Haiti, Sud Sudan e Nepal, il cui prodotto interno lordo dipende per un quinto da questi flussi di denaro (dati Bloomberg), con gli Stati Uniti che garantiscono il maggior contributo, anche in virtù della loro prossimità geografica con i Paesi dell’America Latina, dei Caraibi e dell’Asia Pacifico-Orientale.
Nonostante la priorità delle nazioni più colpite sia quella di garantire liquidità alle imprese e la tutela dei posti di lavoro, una delle prossime sfide delle grandi potenze mondiali sarà proprio quella di contenere l’aumento delle persone in situazioni di indigenza, con conseguenze importanti anche nella gestione dei flussi migratori. In tal senso, nel 2018 proprio la Banca mondiale ha pubblicato uno studio che dimostra la correlazione tra questi due elementi, destinati a essere sempre di più legati tra loro.