Chi voleva assistere al vertice risolutivo per i destini dell’Ue ipotizzato nelle settimane scorse è rimasto probabilmente deluso, quanti si attendevano un significativo passo in avanti nella costruzione della risposta europea alla crisi del Covid-19 possono ritenersi più che soddisfatti. Il Consiglio europeo, riunitosi il 23 aprile in videoconferenza (per i leader Ue si è trattato del quarto incontro virtuale dall’inizio dell’emergenza), ha approvato le misure decise nel corso dell’Eurogruppo del 9 aprile e ha dato un via libera formale al cosiddetto Recovery Fund – il fondo che dovrà preparare e sostenere la ripresa economica del vecchio continente – affidando però alla Commissione l’ incarico di definirne le principali caratteristiche tecniche e finanziarie. Le posizioni degli Stati membri restano ancora molto distanti e l’esecutivo Ue ha pochi giorni per tracciare la via di un difficile compromesso: la presidente Ursula von der Leyen metterà sul tavolo la propria proposta il 6 maggio, inserendo il progetto di Fondo per la ripresa all’interno della revisione del bilancio europeo 2021-27.
COSA HA DECISO IL CONSIGLIO
I leader Ue hanno innanzitutto approvato il pacchetto di misure di contrasto all’emergenza economica da 540 miliardi di euro definito dall’Eurogruppo il 9 Aprile. Tre gli assi portanti del pacchetto, che dovranno entrare in funzione a partire da giugno: SURE, lo strumento temporaneo di sostegno all’occupazione che consentirà alla Commissione di erogare prestiti agli Stati Membri a condizioni favorevoli fino a un massimo di 100 miliardi; il fondo di garanzia istituito dalla Banca europea per gli investimenti, capace di assicurare fino a 200 miliardi di finanziamenti (prestiti) alle piccole e medie aziende più colpite dalla crisi; e infine la linea di credito denominata Pandemic Crisis Support del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che potrà essere concessa ai paesi dell’Eurozona che ne faranno richiesta a condizione di utilizzare i finanziamenti per sostenere i costi diretti e indiretti dell’emergenza sanitaria (fino ad un massimo del 2% del Pil di ogni paese: da qui la cifra complessiva di 240 miliardi). Tra le altre cose, i leader Ue hanno accolto positivamente la roadmap per la ripresa delineata alla vigilia del vertice da von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel e discusso l’alleggerimento delle misure di contenimento tuttora in vigore in gran parte d’Europa.
COSA DICE IL CONSIGLIO SUL RECOVERY FUND
Il Fondo per la ripresa è necessario e urgente, si legge nelle conclusioni del presidente Michel: dovrà essere di entità adeguata e destinato ai settori e alle zone geografiche europee più colpite dalla crisi. Spetterà quindi alla Commissione l’onere della prima mossa: l’esecutivo Ue dovrà formulare con urgenza una proposta adeguata alla sfida che l’Europa si trova ad affrontare, partendo da un’analisi delle reali necessità e chiarendo inoltre il legame che il Recovery Fund dovrà avere con il bilancio europeo.
IL PIANO DELLA COMMISSIONE
La formulazione volutamente vaga delle conclusioni di Michel tradisce le forti distanze tra gli Stati membri su vari elementi cruciali del Recovery Fund e lascia intendere che sono diverse le opzioni ancora sul tavolo. La soluzione a cui sta lavorando la Commissione da inizio aprile, ribadita ufficialmente da von der Leyen dopo il vertice dei leader, prevede che il Fondo per la ripresa resti legato a doppio filo al bilancio europeo (sia nella creazione che nell’utilizzo). Cosa significa?
Per istituire il Recovery Fund, l’esecutivo Ue si prepara ad aggiornare la propria proposta sul Qfp (Quadro finanziario pluriennale) 2021-27 e a prevedere, tra le altre cose, l’ampliamento del cosiddetto headroom (ossia la differenza tra il tetto delle risorse proprie e il limite di spesa all’interno del bilancio). Per la Commissione sarà possibile aumentare tale differenza innalzando “tatticamente” il tetto delle risorse proprie dall’1,2% del Rnl dell’Ue attuale fino a un massimo del 2% per i primi due o tre anni del Qfp 2021-27. L’headroom rinforzato consentirà alla Commissione di raccogliere denaro sui mercati finanziari a tassi d’interesse favorevoli, emettendo obbligazioni (bond) garantite dagli Stati Membri attraverso il bilancio comunitario. Il denaro così raccolto – spiega von der Leyen – verrà indirizzato nuovamente nelle casse del bilancio europeo, andando in larga misura a costituire il Recovery Fund e in piccola parte ad alimentare altri programmi di finanziamento già previsti all’interno dello stesso Quadro finanziario pluriennale.
I NODI IRRISOLTI E LE DISTANZE TRA I PAESI
Se le modalità di costituzione del Fondo non paiono essere più in discussione (la proposta di finanziarlo tramite eurobond garantiti “congiuntamente e in solido” dai Paesi membri – sostenuta soprattutto dall’Italia – è caduta nei giorni precedenti al vertice), sono tre gli aspetti principali che restano tuttora incerti e su cui la Commissione dovrà cercare un primo possibile compromesso nelle prossime settimane. Il primo è la reale entità del Recovery Fund: von der Leyen ha preferito non sbilanciarsi a riguardo, ma tenendo conto delle modalità di costituzione suggerite dalla Commissione pare difficile che il Fondo possa andare oltre i 400-500 miliardi. Di diverso orientamento è il fronte dei Paesi dell’Europa del Sud, che propone una dotazione complessiva decisamente più ambiziosa, compresa tra i 1000 e i 1500 miliardi.
Il secondo è rappresentato dai meccanismi con cui il Fondo verrà utilizzato e distribuito: erogherà agli Stati membri prestiti che, seppur a lunga scadenza, andranno a gravare sui debiti pubblici dei singoli paesi (quella che al momento pare essere la vera linea rossa dei paesi rigoristi, Olanda in testa), oppure opererà per lo più attraverso trasferimenti a fondo perduto (grants), che in quanto tali poggeranno sul bilancio comune senza appesantire i debiti dei paesi beneficiari, come auspicano Francia, Italia e Spagna? Il punto di caduta potrebbe consistere in una combinazione di prestiti e trasferimenti: i primi, maggioritari, erogati dal Recovery Fund, i secondi dai programmi tradizionali del Qfp. Una soluzione di compromesso che comunque non potrebbe che scontentare il fronte sud-europeo.
Terzo: la data di entrata in funzione del fondo. Legarlo al bilancio comune significa di per sé rimandarne il finanziamento a gennaio 2021, se il negoziato sulla nuova proposta della Commissione dovesse andare bene. Francia, Italia e Spagna premono però per attivare il Fondo entro l’estate. Una possibile soluzione – osteggiata dai paesi rigoristi – comporterebbe l’anticipo da parte dei singoli Paesi delle garanzie necessarie per la costituzione del Fondo (in maniera simile a quanto stabilito per l’istituzione del fondo anti-disoccupazione Sure) e la loro sostituzione in un secondo momento con la garanzia del bilancio comune.
I PROSSIMI MESI
La Commissione metterà sul tavolo le proprie carte il 6 maggio prossimo: sarà fondamentale a quel punto analizzare i dettagli della proposta, capire se le distanze tra gli Stati membri si saranno accorciate e quanta strada occorrerà ancora per raggiungere un compromesso. I tempi giocano sicuramente a sfavore del fronte dell’Europa del Sud, che punta a un accordo ambizioso e al tempo stesso ha tutto l’interesse e la necessità che un’intesa si raggiunga al più presto, affinché i nuovi finanziamenti possano essere attivati già nella seconda metà dell’anno. Di sicuro, è la convinzione che filtra dalle stanze di Bruxelles, per chiudere l’accordo i leader dovranno tornare a incontrarsi dal vivo. Sarà possibile farlo a inizio giugno? Un altro ostacolo non da poco sulla strada di una forte risposta europea alla crisi del Covid-19.