Rimesse, crollano i risparmi inviati dagli emigrati. L’allarme della Banca Mondiale


Articolo
Giulia Tani

La pandemia assesta un grave colpo alle economie in via di sviluppo: nel 2020 i flussi di rimesse verso i Paesi a basso e medio reddito crolleranno del 20%, una flessione mai sperimentata nella storia recente. A lanciare l’allarme è la Banca Mondiale, che in queste settimane ha aggiornato al rialzo le previsioni sul tasso di povertà globale (ne abbiamo parlato in un nostro precedente articolo).

Sono 272 milioni le persone che vivono in un Paese diverso da quello di nascita, il 3,5% della popolazione globale. Gran parte di questi migranti invia regolarmente denaro alle proprie famiglie, rimaste nel Paese di origine. Tali trasferimenti prendono il nome di rimesse, o remittances, e sono in genere destinati a coprire rette scolastiche o spese mediche, costruire case, intraprendere piccole attività d’impresa. Le rimesse forniscono un fondamentale apporto finanziario ai Paesi in via di sviluppo: oltre a essere una fonte primaria di reddito per le famiglie che versano in stato di bisogno, costituiscono una leva per la crescita degli investimenti, rafforzano la bilancia nazionale dei pagamenti e riducono la percentuale di debito da esportare. Nel 2019 i flussi di rimesse verso i Paesi a basso e medio reddito hanno raggiunto i 554 miliardi di dollari, superando gli Aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) e addirittura gli investimenti diretti esteri (Ide). Il contributo cruciale di questi trasferimenti per la crescita dei Paesi più arretrati è stato riconosciuto anche dalle Nazioni Unite, che hanno inserito tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) anche l’aumento del volume delle rimesse (SDG 17.3.2) e la riduzione dei loro costi (SDG 10.c.1).

Per effettuare trasferimenti transfrontalieri di fondi è possibile ricorrere a canali informali o formali. Nel primo caso il denaro può essere ad esempio affidato a un amico, a un parente o a un autista di mezzi diretti verso il proprio Paese di origine. I canali formali sono invece costituiti principalmente da banche, servizi postali e Money Transfer Operator (Mto), operatori specializzati quali ad esempio le compagnie internazionali Western Union, MoneyGram e TransferWise. Il costo del trasferimento di fondi (cioè la differenza tra la somma di denaro versata e quella effettivamente ritirata dal destinatario) dipende essenzialmente dalla commissione e dallo spread applicato al tasso di cambio, diversi per ciascun operatore.

Secondo il Remittance Prices Worldwide Report della Banca Mondiale, nel primo trimestre del 2020 il costo medio globale delle rimesse è stato pari al 6,79%, ben al di sopra del target del 3% previsto dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. I costi variano significativamente in base alla regione verso cui il denaro è inviato: si va da un minimo del 4,95% in Asia meridionale a un massimo del 8,90% per i trasferimenti verso l’Africa sub-sahariana. I costi dipendono anche dal tipo di canale utilizzato: le banche e le poste sono in media più costose (si paga, rispettivamente, il 10,51% e il 7,49%), mentre più economici sono i Money Transfer Operator (5,99%) e gli operatori mobile (3,37%).

I flussi di rimesse svolgono un’importante funzione stabilizzazione macroeconomica, poiché tendono ad aumentare quando i Paesi di origine dei migranti sono colpiti da shock esogeni negativi, come guerre o disastri naturali. Rispetto ai Paesi d’accoglienza, invece, i flussi sono prociclici, poiché dipendono in gran parte dalle condizioni di impiego dei lavoratori immigrati. Se lo shock negativo colpisce con la stessa forza anche il Paese ospitante, si possono verificare contrazioni dei flussi di rimesse, come è accaduto per esempio in corrispondenza della crisi finanziaria globale (nel 2009 i trasferimenti verso i Paesi a basso e medio reddito si sono ridotti del 5%). La crisi che si prospetta in queste settimane appare ancora più drammatica. Secondo il recente Migration and Development Brief della Banca Mondiale, nel 2020 il flusso delle rimesse crollerà del 20% (scendendo da 554 a 445 miliardi di dollari), una flessione mai sperimentata nella storia recente. Le regioni più colpite saranno l’Europa e l’Asia centrale (-27,5%), l’Africa Sub-sahariana (-23,1%) e l’Asia meridionale (-22,1%).

L’impatto della pandemia da coronavirus sui flussi di rimesse è duplice. Da un lato, la contrazione della crescita nei Paesi di accoglienza determina una riduzione del livello di occupazione e degli stipendi dei lavoratori immigrati, in genere i più esposti alle fluttuazioni economiche. Dall’altro, il lockdown e le restrizioni agli spostamenti ostacolano l’attività degli operatori per il trasferimento di denaro, che spesso richiedono la presenza del cliente in negozio per avviare la procedura. Una possibile soluzione, in questo senso, potrebbe essere il ricorso ai servizi digitali, che ad oggi riguardano solo il 15-20% dei trasferimenti. L’ostacolo maggiore è dato dalla difficoltà per le famiglie più povere di accedere a strumenti quali conti online, carte di pagamento o altri strumenti finanziari virtuali.

La Banca Mondiale prevede che, nonostante il marcato declino dell’anno corrente, l’importanza dei flussi di rimesse come fonte di finanziamento per i Paesi a basso e medio reddito continuerà ad aumentare. Il crollo degli investimenti diretti esteri, infatti, sarà ancora più drammatico (si stima -35%) in conseguenza delle limitazioni agli spostamenti e delle incertezze nel commercio internazionale e nei mercati finanziari. È dunque essenziale sostenere e potenziare le infrastrutture per le rimesse, accelerando il processo di digitalizzazione già in atto e stimolando la competizione in tutti i canali di trasferimento del denaro al fine di ridurre i costi di transazione. Per raggiungere questo obiettivo, sarà necessario garantire l’educazione e l’inclusione finanziaria anche nei contesti più poveri. La posta in gioco è l’autonomia economica di milioni di famiglie nei Paesi in via di sviluppo.

Laureata in Economia dei mercati e degli Intermediari finanziari, sta conseguendo il Master of Science in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata. Si occupa di ricerca economica e raccolta, elaborazione e analisi di dati.

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