Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti ha raggiunto il 14,7% ad aprile, un triste record che non si registrava dai tempi della Grande depressione. L’impatto del coronavirus e delle misure prese per il suo contenimento si sono abbattute sull’economia statunitense, causando la perdita del posto di lavoro per 20,5 milioni di cittadini americani.
I dati sono stati rivelati dal Dipartimento del Lavoro: ciò che colpisce è il salto nel vuoto che il mercato del lavoro ha fatto tra marzo e aprile. Un arco temporale in cui il tasso di disoccupazione, partendo dal 4,4% è aumentato di ben 10,3 punti percentuali. Bisogna inoltre considerare che il periodo di riferimento di questi valori termina il 18 aprile e, quindi, non sono considerati gli effetti del lockdown delle ultime tre settimane, che verosimilmente si immagina possano ulteriormente appesantire i risultati pubblicati. Tuttavia, la battuta d’arresto delle dinamiche occupazionali era stata già prevista. Anzi, le stime suggerivano uno scenario peggiore di quello verificatosi, con una disoccupazione che si sarebbe attestata al 16%. Lo ha confermato anche il presidente Donald Trump in un’intervista rilasciata a Fox News: “Nessuna sorpresa, quei posti di lavoro torneranno e torneranno presto”.
Ciononostante, il quadro presentato dagli ultimi dati diffusi è il peggiore dalla Grande depressione. Basti considerare che la percentuale di disoccupati negli anni ’30 era stimata tra il 20 e il 25% e che a seguito della crisi finanziaria del 2008 si arrivò al 10%. Inoltre, se si tengono in considerazione i lavoratori part-time e coloro che, scoraggiati, non cercano occupazione, l’attuale tasso sale al 22,8%.
Dall’analisi particolare del dato sulla disoccupazione, i più svantaggiati risultano essere i teenager, che costituiscono il 31% dei cittadini senza lavoro. Va male anche per le persone di etnia ispanica che ne rappresentano il 18,9%, gli afroamericani (16,7%) e le donne (15,5%). Inoltre, il tasso di partecipazione alla forza lavoro è diminuito ad aprile di 2 punti percentuali fino a raggiungere il 60,2% della popolazione, il valore più basso registrato dagli anni ’70, fenomeno che rispecchia lo sconforto degli americani riscontrato nella ricerca di un lavoro.
Non tutti i settori produttivi sono stati colpiti allo stesso modo dall’emergenza sanitaria. Come era facile prevedere, a soffrire di più per le misure restrittive imposte dalla pandemia sono il comparto alberghiero, quello dell’accoglienza e, infine, quello dell’intrattenimento. L’occupazione in questo caso è crollata del 47% (7,7 milioni di lavoratori in meno), in particolare nei rami della ristorazione, delle arti e dell’industria ricreativa. A seguire, ci sono l’istruzione e la salute, con 2,5 milioni di lavoratori in meno, e i servizi professionali e all’impresa (meno 2,2 milioni). Parallelamente, in aprile il salario orario è aumentato di 1.34 dollari fino a 30.01. Questo aumento rispecchia il crollo significativo dell’occupazione, specialmente tra i percettori dei salari più bassi.
Inoltre, come ha sottolineato Riccardo Barlaam del Sole 24 Ore, il dato degli Stati Uniti è tra i più preoccupanti dei Paesi sviluppati, dal momento che la copertura sanitaria di ben 160 milioni di americani è legata allo stipendio. La situazione si prospetta decisamente drammatica per gli Usa che, alla vigilia delle elezioni presidenziali, dovranno affrontare la sfida di una nuova crisi economica.