Perché lo smart working piace alle aziende


Articolo
Giulia Palocci
smart working

Il lockdown decretato per contenere la diffusione del contagio da coronavirus ha costretto le persone di tutto il mondo a cambiare il proprio stile di vita. E l’aspetto con cui più degli si abbiamo dovuto fare i conti è stato, ovviamente, il lavoro. Da oltre due mesi milioni di persone continuano a svolgere le loro abituali mansioni dentro le quattro mura domestiche. Ma come si stanno trovando? Quante sono le aziende che pensano di mantenere lo smart working anche dopo la fine dell’emergenza? E quali miglioramenti si potranno apportare per garantire anche in futuro la permanenza delle forme di lavoro agile?

LA METÀ DELLE IMPRESE È IN SMART WORKING

Attualmente lo smart working (o lavoro agile) interessa quasi la metà dei lavoratori. A rivelarlo è una recente indagine condotta da Fondirigenti, il fondo interprofessionale per la formazione continua dei dirigenti promosso da Confindustria e da Federmanager. L’obiettivo è “analizzare l’utilizzo di questa modalità di lavoro dalle imprese e dai dirigenti e di individuarne ostacoli e opportunità di sviluppo attraverso la leva formativa“. Dall’analisi, che ha coinvolto oltre 12.000 contatti, emergono risultati piuttosto soddisfacenti: non sono  solo i dipendenti ad apprezzare questa nuova modalità di lavoro, ma soprattutto le aziende, che hanno deciso di renderla prioritaria e di investire di più. Il campione preso in esame è composto per il 90% da piccole e medie imprese (l’87% delle quali di tipo privato) mentre dal punto di vista della provenienza geografica, il 76% si trova al Nord, il 15 al Centro e il 10 al Sud.

IL LAVORO DA REMOTO PRIMA DEL CORONAVIRUS

Ma il lavoro da remoto non è un’esperienza nuova in Italia. Prima dello scoppio della pandemia, erano già molte le realtà che lo avevano adottato (peraltro anche noi dell’Istituto per la Competitività, I-Com). Un dato, questo, sottolineato anche da Fondirigenti, che si attesta al 39%. In pratica ha coinvolto quasi un lavoratore su tre. Nello specifico, prima dell’emergenza, il 42,1% delle imprese del Centro Nord aveva già dimostrato una maggiore sensibilità al ricorso allo smart working. Mentre al Nord questa percentuale si aggirava intorno al 39% e al Sud sfiorava il 36. Si tratta di un fenomeno che fino a due mesi fa ha interessato in misura maggiore le piccole e medie imprese e, soprattutto, quelle operanti nel settore dei servizi (di cui è ricco proprio il centro dell’Italia). Ma quanti giorni della settimana erano dedicati allo smart working prima del lockdown? In media poco meno di due (1,75).

I NUMERI DURANTE L’EMERGENZA

E’ stata soprattutto l’emergenza sanitaria a spingere le imprese ad adottare forme alternative al lavoro in presenza fisica: le aziende che compongono il campione dell’indagine hanno assegnato a questa motivazione, in media, 4,7 punti su 5. Ma non mancano altri tipi di fattori. Da questo punto di vista, tra le ragioni che hanno mosso le imprese a cambiare le loro modalità operative ci sono i benefit per i lavoratori (con un punteggio di 2,87), le esigenze produttive (2,58), il miglioramento della produttività (2,37) e, infine, l’economicità (2,09). Controllo, gerarchia e rigidità lasciano quindi il passo alla fiducia, alla responsabilità e alla flessibilità.

LE PRIORITÀ PER L’AVVIO

Ma cosa hanno dovuto fare, in pratica, le aziende per adeguarsi al nuovo mondo del lavoro? “Per l’avvio dello smart working“, prosegue l’analisi, “le imprese hanno dato la priorità alla messa a disposizione dei collaboratori di adeguate dotazioni tecnologiche e ad attivare una modalità di organizzazione del lavoro per obiettivi“. Ben il 77% delle realtà coinvolte nell’indagine ha dichiarato di aver provveduto alla fornitura di computer, smartphone o sim aziendali e connessioni alla rete. Sono pochi, invece, i casi in cui è stato necessario attivare sistemi di monitoraggio dell’attività a distanza (16%) oppure corsi di formazione per i propri dipendenti (13%).

GLI OSTACOLI (ANCORA) DA SUPERARE

In generale, la ricerca sottolinea un elevato livello di apprezzamento delle nuove modalità di lavoro, tanto da far sperare che nel futuro, una volta superata l’emergenza, sia possibile permettere al maggior numero di dipendenti possibile di svolgere le proprie mansioni da remoto. E sono proprio le aziende ad auspicarlo: l’obiettivo sembra esse quello di “poter aumentarne l’utilizzo fino al 59%“, rispetto all’attuale 46. Ad essere più ottimiste sono quelle del Sud, secondo cui sarebbe ideale passare dall’attuale 48 al 63%. Tuttavia, il sondaggio rileva che per favorire una piena applicazione dello smart working, ci sono ancora alcune sfide da affrontare, soprattutto a livello dirigenziale. “La formazione avrà un ruolo importante“, ha dichiarato il direttore generale di Fondirigenti Costanza Patti, che ha specificato su quali elementi sarà necessario concentrarsi: “Dovrà riguardare soprattutto il management e la gestione delle risorse, così come la cyber security e la digitalizzazione dei processi aziendali“.

FASE 2 A RISCHIO CAOS. QUALE MIX TRA SMART WORKING, SPALMATURA DEGLI ORARI E MOBILITÀ

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

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