Coronavirus, come i sistemi sanitari stanno rispondendo (diversamente) all’emergenza


Articolo
Giulia Tani

I sistemi sanitari stanno affrontando la più grave epidemia degli ultimi cento anni. L’assenza di un vaccino o di una terapia efficace contro il Covid-19 ha reso necessario attuare misure di contenimento e mitigazione del virus senza precedenti, al fine di evitare il collasso della sanità pubblica e ridurre al minimo il rischio di trasmissione: non solo campagne di comunicazione, sanificazione degli ambienti e isolamento immediato dei casi sintomatici, ma anche distanziamento sociale e restrizioni agli spostamenti della popolazione. A tali politiche dobbiamo aggiungere le misure adottate dai diversi sistemi sanitari che, secondo un recente studio dell’Ocse, si articolano in quattro direzioni principali: assicurare a tutta la popolazione l’accesso alla diagnosi e al trattamento del Covid-19, rafforzare la resilienza della sanità, sfruttare le potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale e incoraggiare la ricerca e lo sviluppo di vaccini e terapie valide.

Se il contagio non discrimina tra ricchi e poveri e attraversa liberamente i confini delle nazioni, l’efficacia della risposta del sistema sanitario varia tuttavia da Paese a Paese: lo stato della sanità pubblica pre-Covid determina la sua capacità di reazione alla crisi. Analizzando soltanto la spesa sanitaria in relazione al Pil nazionale (come illustrato nella Figura 1), emergono significative eterogeneità tra i vari Stati membri dell’Ocse. L’Italia si piazza esattamente a metà classifica, con una spesa complessiva pari all’8,8% del prodotto interno lordo.

Figura 1: Health expenditure as a share of GDP, 2018 (or nearest year). Source: OECD Health Statistics 2019, WHO Global Health Expenditure Database

La spesa da sola non è sufficiente per qualificare la capacità del sistema sanitario di affrontare l’emergenza. È necessario altresì valutare la sua performance in relazione a ciascuna delle quattro aree individuate dall’Ocse. In primo luogo, consideriamo l’accesso alla diagnosi e al trattamento del Covid-19. Per combattere efficacemente il contagio, risulta essenziale una copertura sanitaria universale: un’elevata spesa out-of-pocket, infatti, potrebbe disincentivare la popolazione a cercare assistenza medica quando si manifestano i primi sintomi della malattia, accelerando così la sua trasmissione. In Italia il pacchetto di servizi sanitari coperti dalla spesa pubblica è ampio, ma si registra la più alta percentuale di spesa a diretto carico del paziente in Europa (23,5% nel 2017 contro il 16% degli altri Stati membri). Guardando al resto del mondo, si osserva che la copertura dei servizi sanitari essenziali rimane sotto il 95% della popolazione in 7 Paesi dell’Ocse, tra cui in particolare Messico, Stati Uniti e Polonia.

Veniamo ora alla capacità di resilienza del sistema sanitario, essenziale per evitare il suo sovraccarico. Tre sono gli ambiti da potenziare: la completa mobilitazione del personale medico e paramedico per effettuare diagnosi e curare i pazienti, la fornitura di attrezzature indispensabili quali ventilatori polmonari, tamponi, mascherine e così via e, per finire, l’aumento degli spazi da destinare all’accoglienza e all’isolamento dei casi sospetti nonché alla cura dei pazienti ospedalizzati.

Figura 2: Number of doctors and nurses in OECD countries, 2017 (or nearest year). Source: Beyond Containment – Health systems responses to COVID-19 in the OECD

Per quanto riguarda la mobilitazione del personale, si osserva che i Paesi che investono molto nella sanità quali, ad esempio, Norvegia, Svizzera e Germania, avevano già un numero relativamente alto di dottori e infermieri prima dell’emergenza (come illustra la Figura 2). Ceteris paribus, la pressione causata dal Covid-19 su tali sistemi è stata dunque inferiore rispetto ad altri Paesi con un minore impiego di personale medico (come Messico, Turchia e Polonia). In Italia, il numero di medici (4 per 1.000 abitanti nel 2017) risulta superiore rispetto alla media Ocse, mentre quello degli infermieri (5,8 per 1.000 abitanti) è inferiore. È opportuno tuttavia precisare che oltre la metà dei medici attivi in Italia ha un’età superiore ai 55 anni, ed è dunque particolarmente vulnerabile al Covid-19. Negli ultimi anni la formazione e l’assunzione di nuovi medici è stata limitata dalla scarsità di tirocini e specializzazioni post-laurea. La mancanza di buone opportunità di lavoro ha inoltre portato molti giovani medici a emigrare in altri Paesi. Da qui il reclutamento di medici e infermieri in pensione per fronteggiare l’emergenza coronavirus nonché l’impegno del governo ad assumere altre 20.000 persone.

Fondamentale per ridurre l’impatto della pandemia è anche la fornitura adeguata di equipaggiamento sanitario, per cui sono state messe in campo politiche di coordinamento internazionale, pianificazione e controllo della supply chain, nonché incentivi pubblici per la produzione. Nonostante gli sforzi effettuati, permangono tuttora delle difficoltà. In Italia, ad esempio, scarseggiano i kit per i tamponi e i reagenti necessari per effettuarli, come riportato dal Corriere della Sera.

Figura 3: Capacity of intensive care beds in selected OECD countries, 2020 (or nearest year). Source: Beyond Containment – Health systems responses to COVID-19 in the OECD

Conosciamo ormai bene la pressione che l’epidemia corrente esercita sulla capacità ospedaliera, e in particolare sui reparti di terapia intensiva. Anche in questo ambito i sistemi sanitari di alcuni Paesi si sono dimostrati più preparati di altri a fronteggiare il picco dei contagi. È il caso, ad esempio, della Germania, che può contare su 33,9 posti letto in terapia intensiva per 100.000 abitanti (come rappresentato nella Figura 3). L’Italia, in confronto, ne ha soltanto 8,6. Tra le misure adottate per aumentare gli spazi destinati all’isolamento dei casi sospetti e la cura dei pazienti con Covid-19, si annoverano la creazione di reparti appositi negli ospedali, la requisizione di strutture alberghiere, e la realizzazione di ospedali da campo.

Veniamo ora all’utilizzo del digitale. L’esperienza della Corea del Sud dimostra il contributo fondamentale che i Big data e le tecnologie di contact tracing e geolocalizzazione possono offrire nel contenere la diffusione del virus. Anche l’Italia si sta preparando per adottare un modello di tracciamento digitale, nonostante permangano ambiguità in materia di tutela della privacy. La crisi corrente dimostra inoltre l’utilità della telemedicina nell’offrire assistenza alla popolazione limitando i contatti fisici nonché nel monitorare la salute dei pazienti affetti da Covid-19.

Per finire, è essenziale adottare politiche di ricerca e sviluppo tese a favorire la tempestiva realizzazione di vaccini e terapie valide. Se il numero di studi clinici attualmente avviati risulta incoraggiante, bisognerà tuttavia attendere parecchi mesi prima di avere a disposizione una cura. Nel frattempo, i sistemi sanitari nazionali stanno potenziando gli investimenti nella ricerca e lavorando per accelerare il percorso di approvazione di un nuovo farmaco da parte dell’autorità regolatoria. Fondamentale risulterà il coordinamento a livello internazionale per evitare comportamenti opportunistici da parte di singoli Paesi e assicurare l’accesso alla cura a tutti coloro che ne avranno necessità.

Laureata in Economia dei mercati e degli Intermediari finanziari, sta conseguendo il Master of Science in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata. Si occupa di ricerca economica e raccolta, elaborazione e analisi di dati.

Nessun Articolo da visualizzare

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.