Fca, il punto della situazione (dopo le polemiche)


Articolo
Gabriele Ferrara
Credit: da Pixabay/Pexels

Sabato 16 maggio FCA Italy ha annunciato di essere al lavoro per ottenere un prestito fino a 6,3 miliardi di euro – che dovrebbe essere concesso da Intesa Sanpaolo, il gruppo bancario più grande d’Italia – da usare per sostenere le sue attività produttive nel Paese. La multinazionale ha potuto farlo alla luce delle disposizioni previste nel decreto Liquidità, grazie al quale le imprese che ne hanno bisogno possono chiedere prestiti alle banche, con lo Stato che li rimborserà qualora le aziende non fossero in grado di onorare gli impegni assunti. Le garanzie bancarie saranno gestite da Sace, società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti.

In base a un meccanismo innovativo, tutte le erogazioni derivanti dalla linea di credito sarebbero gestite attraverso conti correnti dedicati, accesi al solo scopo di supportare la gestione operativa dei pagamenti alla filiera italiana dei fornitori, sostenendone i livelli di liquidità e garantendo al contempo la ripartenza delle produzioni e gli investimenti negli impianti italiani. Una richiesta che ha diviso l’opinione pubblica e soprattutto la politica, anche all’interno dello stesso campo della maggioranza.

Per erogare il prestito, il governo ha chiesto a FCA che i soldi vengano utilizzati solo per le attività produttive che si svolgono in Italia. Secondo quanto stabilito dal decreto Liquidità, FCA ha diritto a un prestito che non superi il 25% del fatturato, con la parte di finanziamento garantito dallo Stato pari al 70%. Tuttavia, nonostante non ci siano ancora dati ufficiali, FCA dovrebbe ottenere una copertura dell’80%. Ciò è possibile ai sensi dell’articolo 1 comma 8 del decreto, secondo cui “le percentuali di garanzia possono essere elevate fino al limite di percentuale immediatamente superiore a quello previsto, subordinatamente al rispetto di specifici impegni e condizioni in capo all’impresa beneficiaria indicati nella decisione”.

La percentuale viene innalzata con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, sentito il ministro dello Sviluppo economico, adottato sulla base dell’istruttoria trasmessa da Sace. Ciò avviene sulla base del ruolo che l’impresa beneficiaria svolge rispetto al contributo allo sviluppo tecnologico, all’appartenenza alla rete logistica e dei rifornimenti, all’incidenza su infrastrutture critiche e strategiche, al suo impatto sui livelli occupazionali e sul mercato del lavoro nazionale e al peso specifico nell’ambito di una filiera produttiva strategica. Per questo motivo, il governo ha chiesto a FCA di rispettare le seguenti condizioni: l’utilizzo di tutti i soldi in Italia, la gestione dell’occupazione con accordi sindacali e la conferma e il rafforzamento degli investimenti in programma sulle fabbriche in Italia. Inoltre, non si potrà delocalizzare la produzione dall’Italia e ci sarà un monitoraggio di attuazione degli accordi.

In questo quadro, occorre considerare che la filiera dell’automotive in Italia è composta da circa 10.000 piccole e medie imprese, con FCA che, come noto, ha un peso enorme. Basti pensare che il 40% del fatturato annuale del settore italiano della componentistica nel comparto automobilistico – si tratta di circa 50 miliardi di euro – deriva dalle commesse dell’azienda fondata a Torino. Secondo quanto si legge in un comunicato stampa della stessa azienda risalente allo scorso 16 maggio, questo settore da solo equivale a circa il 6,2% del Pil italiano e dà occupazione a circa il 7% dell’intero  manifatturiero. In particolare, l’ex Fiat in Italia impiega direttamente ben 55.000 persone in 16 stabilimenti produttivi e 26 poli dedicati alla ricerca e allo sviluppo. Inoltre, se si considera l’indotto, ci sono circa 200.000 lavoratori e 5.500 società fornitrici italiane altamente specializzate che la società ritiene fondamentali per la sua “continuità operativa”. Ancora, considerando i concessionari e l’assistenza ai clienti a supporto dell’industria automobilistica italiana, si rilevano altri 120.000 posti di lavoro in 12.000 imprese.

Per quanto riguarda la solidità finanziaria di FCA, invece, occorre considerare che quest’ultima ha chiuso il primo trimestre del 2020 con una perdita netta di 1,7 miliardi di euro. Considerando i dati rettificati, che non considerano le voci di costo straordinarie, la perdita netta è stata di mezzo miliardo di euro, mentre l’EBIT (Earnings before Interests and Taxes) adjusted è stato positivo, raggiungendo 0,1 miliardi. Alla fine di marzo, la liquidità disponibile di FCA è stata pari a 18,6 miliardi, senza dimenticare che ad aprile la società ha ottenuto una linea di credito di 3,5 miliardi grazie a un prestito ponte. Quest’ultimo viene concesso per un breve periodo di tempo da parte degli istituti di credito, in attesa di essere sostituito con un finanziamento permanente a lunga scadenza. Inoltre, il dato relativo alla liquidità disponibile è stato reso tale da una linea di credito rotativo (che, a differenza del credito rateale, non ha un numero di fisso di pagamenti) da 6,25 miliardi di euro, interamente utilizzata nel mese di aprile.

Tuttavia, anche FCA sta risentendo moltissimo della crisi del mercato automobilistico, che è in gravissima crisi: ad aprile le immatricolazioni all’interno dell’Unione europea e dell’area Efta sono calate del 78,3% (-97,6% in Italia), dopo che a marzo il decremento era stato pari al 55,1%. In particolare, nel mese passato FCA ha subito un crollo dell’87,7%, con la quota di mercato che rispetto a dodici mesi fa è passata dal 7,4% al 3,8%, classificandosi al settimo posto a livello europeo. Da inizio anno, invece, la società ha perso il 48% delle immatricolazioni. Considerando i dati dell’area EMEA (Europe, Middle East and Africa), si nota che i ricavi netti sono calati del 26%. Analizzando la situazione della controllata FCA Italy, invece, occorre ricordare che Il Corriere della Sera ha segnalato come negli ultimi tre anni la società abbia chiuso con i bilanci in negativo: -1,1 miliardi nel 2016, -673 milioni nel 2017 e -1,25 miliardi nel 2018.

Considerata la situazione nel suo complesso, non deve dunque sorprendere che lo scorso 6 maggio Fitch abbia classificato il debito di FCA come “BBB –“ con outlook stabile. Questa valutazione rappresenta il gradino più basso per ritenere un investimento nella società relativamente sicuro anziché rischioso. La sostenibilità del debito della società dipenderà molto dall’esito della fusione con PSA, il gruppo automobilistico che, tra gli altri, comprende Peugeot, Opel e Citroën. La finalizzazione dell’accordo dovrebbe arrivare entro il primo trimestre del 2021 e prevede, tra le altre cose, la divisione di un maxi-dividendo da 5,5 miliardi. Onorare questi accordi sarebbe fondamentale per dare un forte messaggio ai mercati, che potrebbero aumentare il proprio grado di fiducia nei confronti di FCA.

Il presidente di FCA, John Elkann, ha chiarito che i termini previsti dall’accordo “sono scolpiti nella roccia”. Ai sensi del decreto Liquidità, i soldi che lo Stato italiano darà in prestito non dovrebbero essere utilizzati a tale scopo, almeno entro la fine del 2020. Infatti, il decreto prevede che la distribuzione dei dividendi sia impedita fino al termine del 2020 mentre l’accordo tra le due case automobilistiche dovrebbe essere siglato successivamente. Anche se il governo potrebbe porre condizioni più stringenti.

In ogni caso, restano ancora diversi punti di domanda circa l’effetto che l’unione avrà sul tessuto produttivo italiano. Come ha sottolineato il professore dell’Università Luigi Bocconi di Milano, Giuseppe Berta, in un’intervista rilasciata all’Agi diretta da Mario Sechila presidenza andrà a John Elkann, attuale presidente di Fca, ma la guida strategica sarà nelle mani del gruppo francese. […] È chiaro che con la fusione è destinato radicalmente a cambiare il nuovo perimetro del gruppo perché sarà un perimetro più ampio e in cui la componente francese sicuramente sarà forte e avrà la gestione operativa del gruppo”. Gli interrogativi da porsi sono dunque molteplici e le risposte che avremo nei prossimi mesi potrebbero essere decisive per una parte essenziale del comparto industriale italiano.

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

Nessun Articolo da visualizzare

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.