L’attuazione di politiche su scala nazionale che promuovano stili di vita sani, con un respiro di lungo periodo, in grado di ridurre la quota di adulti con diabete di tipo 2 entro il 4% della popolazione (a oggi pari al 6,2% secondo il rapporto ARNO 2019), permetterebbe di diminuire il numero dei pazienti affetti da questa patologia in Italia di circa un milione di unità. A rivelarlo è lo studio dal titolo “La gestione del diabete mellito tipo 2 in Italia: analisi regionali”, redatto nell’ambito del Progetto “Analisi regionali del percorso assistenziale del paziente diabetico” da VIHTALI (Value in Health Technology and Academy for Leadership and Innovation), uno spin-off accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Secondo la ricerca, una migliore performance nell’assistenza sanitaria territoriale dei diabetici, potrebbe produrre risparmi in termini di spesa compresi tra i 7 e i 28 milioni di euro. Il raggiungimento di questo risultato passerebbe, in particolare, dal contenimento del tasso di ospedalizzazione per diabete e dalla riduzione del tasso di ospedalizzazione conseguente a complicanze relative alla patologia.
Le malattie croniche sono tra le principali sfide di tutti i sistemi sanitari e hanno un impatto significativo sia in termini epidemiologici, sia in termini di spesa. Tra queste, il diabete è una delle patologie più diffuse e può comportare molte complicanze dal punto di vista della durata e della qualità della vita delle persone che ne sono affette. L’elevata prevalenza del diabete all’interno del generalizzato aumento delle patologie croniche rappresenta un problema assistenziale rilevante che ha generato una modifica dei bisogni sanitari e richiede una riorganizzazione dell’assistenza sanitaria che passi da un approccio “on demand” a uno proattivo. In pratica che promuova stili di vita corretti e migliori modelli di gestione della cronicità sul territorio.
La prevenzione primaria rappresenta un aspetto determinante nel contenimento del diabete di tipo 2. Sono soprattutto i cambiamenti degli stili di vita all’interno delle aree urbane rispetto al passato (fragilità sociali, disuguaglianze, scarsa o assente attività fisica, vita sedentaria e cattiva alimentazione) a determinare l’aumento di questa malattia cronica. Sono tutti elementi che incidono sul tasso di obesità (correlato con lo sviluppo del diabete), sulla riduzione della partecipazione a programmi di screening e diagnosi per l’individuazione precoce della malattia e sulla corretta gestione della patologia da parte dei pazienti stessi. Per questo motivo, a livello internazionale è nato nel 2014 il progetto Cities Changing Diabetes, un programma promosso dallo University College London (UK) e dallo Steno Diabetes Center (Danimarca) con il sostegno di Novo Nordisk. All’iniziativa, inoltre, collaborano partner nazionali tra istituzioni, città metropolitane, comunità diabetologiche/sanitarie, amministrazioni locali, mondo accademico e terzo settore. L’obiettivo del programma è creare un movimento che stimoli i decisori politici a considerare il tema dell’urban diabetes prioritario, mettendo in luce il fenomeno con dati ed evidenze provenienti dalle città di tutto il mondo. Allo stesso tempo si vuole sottolineare la necessità di agire in considerazione del crescente numero di persone con diabete e del conseguente onere economico e sociale che tutto ciò comporta.
L’ospedalizzazione dei pazienti diabetici rappresenta un indicatore cosiddetto sentinella, cioè segnala il probabile fallimento dell’assistenza territoriale, in quanto un paziente non adeguatamente gestito deve, a causa dell’insorgenza di complicanze, ricorrere al setting ospedaliero. Una carente organizzazione nella gestione delle cure può causare, ad esempio, l’aumento delle prestazioni specialistiche, dei ricoveri inappropriati o l’allungamento delle liste di attesa a carico dei livelli di assistenza più elevati. Per questo, il Piano nazionale sul diabete prevede la presa in carico di tutte le persone affette da questa malattia da parte dei centri diabetologici: in questo modo viene applicata una gestione integrata con i medici di medicina generale e vengono definiti percorsi assistenziali con particolare riguardo all’appropriatezza del ricovero o del trattamento ambulatoriale, della gestione da parte del medico di assistenza primaria o specialistica e dell’educazione terapeutica del paziente. Il Piano nazionale sul diabete è stato proposto per affrontare le problematiche legate alla patologia e per darne un’uniformità di gestione su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, ad oggi, risulta ancora largamente disatteso.
L’epidemia da Covid-19 ha evidenziato l’importanza di questi aspetti e ci ha portati, come in altri casi, a riflettere e intervenire per il miglioramento nella prevenzione primaria e secondaria delle malattie croniche, nello specifico del diabete, e per una maggiore efficienza nell’organizzazione dell’assistenza territoriale. Gli studi scientifici hanno evidenziato l’associazione tra il diabete e lo sviluppo di complicazioni nel corso di qualunque malattia acuta, come il coronavirus. Il rischio di avere un decorso grave o critico da Covid-19 si è rivelato altissimo per i pazienti con diabete. Inoltre, il lockdown prima, e le regole del distanziamento sociale poi, hanno evidenziato la necessità di intervenire attraverso la telemedicina e il rafforzamento dell’assistenza sul territorio per l’informazione, il monitoraggio e la gestione dei pazienti affetti da diabete, sottolineando l’importanza di riorganizzare in modo ottimale i servizi per facilitarne l’integrazione con gli specialisti.
La situazione di emergenza può avere contribuito da un lato ad alterare quelle che erano le abitudini della persona con diabete, portando a una minore possibilità di fare attenzione al proprio stile di vita (alimentazione, attività fisica e motoria) mentre dall’altro a rendere più difficile l’accesso a visite e prestazioni ambulatoriali. Diversi sono stati gli interventi da parte dei medici e dei servizi sanitari regionali per garantire la continuità dell’assistenza (numeri verdi, teleconsulto, monitoraggio domiciliare). Ora, è importante continuare a lavorare in questa direzione, intervenendo attraverso politiche trasversali per la prevenzione primaria e secondaria e per la maggiore efficienza della presa in carico a livello territoriale. Ne va della salute dei pazienti da un lato, e del Servizio sanitario nazionale dall’altro.