E-commerce, come la pandemia ha cambiato il nostro modo di fare acquisti


Articolo
Domenico Salerno
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Il lockdown imposto dalle autorità per mitigare la diffusione della pandemia di Covid-19 ha inevitabilmente avuto un impatto, oltre che dal punto di vista sanitario, anche sulle nostre abitudini di vita quotidiana. Negli ultimi mesi è cambiato il nostro modo di lavorare, studiare, incontrarci, intrattenerci e, inevitabilmente, anche quello di fare acquisti. La chiusura dei negozi sembra aver accelerato il processo di trasformazione del nostro modo di fare compere, avvicinando ai nuovi strumenti digitali numerosi individui che non utilizzavano, oppure lo facevano raramente, le piattaforme di e-commerce.

Da un’indagine del consorzio Netcomm è emerso che nel periodo di quarantena il 77% delle aziende che vende i propri prodotti online è riuscita ad acquisire nuovi clienti. Secondo un’altra analisi condotta da Revolute, i due principali marketplace globali, Amazon e AliExpress, tra febbraio e aprile 2020 – e quindi nel pieno della pandemia – hanno incrementato il loro volume di transazioni in Italia rispettivamente del 38 e del 103%. Particolarmente positivo è stato il trend di crescita delle vendite di prodotti di largo consumo che, secondo quanto rilevato da Nielsen, tra la fine di febbraio e la fine marzo ha fatto registrare un +162,1%.

Osservando gli ultimi dati diffusi da Eurostat sul commercio digitale nel Vecchio continente, possiamo notare come il 60% dei cittadini europei abbia effettuato almeno un acquisto su un portale di e-commerce nel corso del 2019. Si tratta del 4% in più rispetto all’anno precedente. La crescita registrata assume un valore ancora più rilevante se si considera che nella media non si tiene più conto del dato del Regno Unito, che negli ultimi anni è sempre figurato ai vertici della classifica del commercio digitale. Gli europei che acquistano di più sono ancora una volta i danesi (84%) e gli svedesi (82%). In fondo alla classifica troviamo Bulgaria (22%), Romania (23%) e Italia (38%). Tra i beni e i servizi più acquistati online lo scorso anno ci sono capi di abbigliamento (63%), servizi di viaggio (52%), film, musica e ebook (50%), articoli casalinghi (43%) e biglietti per eventi (38%).

In questo scenario, è arrivata da pochi giorni la notizia che il colosso spagnolo dell’abbigliamento Zara ha deciso di chiudere 1.200 negozi in tutto il mondo per puntare maggiormente sul canale di vendite online. Il mondo del tessile è stato purtroppo uno di quelli colpiti più duramente dalla pandemia. Tra la chiusura forzata dei negozi e la paura delle persone di provare capi di abbigliamento negli store fisici, il settore sta faticando a ripartire. Uno dei principali produttori di abbigliamento al mondo, Inditex, ha affermato di aver subito un calo delle vendite del 44% tra febbraio e aprile. Al contrario il canale di vendita e-commerce dell’azienda ha sperimentato un incremento del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il 95% nel solo mese di aprile.

Direttore Area Digitale dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nato ad Avellino nel 1990. Ha conseguito una laurea triennale in “Economia e gestione delle aziende e dei servizi sanitari” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e successivamente una laurea magistrale in “International Management” presso la LUISS Guido Carli. Al termine del percorso accademico ha frequentato un master in “Export Management & International Business” presso la business school del Sole 24 Ore.

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