Alla fine del 2019 la povertà assoluta in Italia ha registrato la prima flessione dopo quattro anni di crescita. Nel contesto pre-Covid le famiglie che versavano in condizioni di indigenza erano 1,7 milioni, pari al 6,4% dei nuclei familiari residenti nel Paese. Un risultato migliore di quello del 2018, anno in cui l’incidenza si attestava al 7%, ma comunque ancora molto al di sopra dei livelli registrati prima della crisi finanziaria del 2008-2009. Tuttavia, gli effetti della pandemia da coronavirus potrebbero invertire di nuovo la tendenza.
L’allarme arriva dall’Istat, che in un recente report dedicato alla povertà in Italia ha previsto uno scenario preoccupante per le condizioni economiche delle famiglie per l’anno in corso. Soprattutto se si considerano parallelamente sia le stime che lo stesso istituto ha ipotizzato per la flessione del prodotto interno lordo (-8,7% nel 2020), sia le prospettive delineate da Coldiretti, secondo cui i poveri quest’anno saranno un milione in più rispetto all’anno precedente.
Il rapporto condotto dall’Istat sottolinea come la stretta della povertà colpisca in maniera differente diverse categorie di persone. Quando si parla di povertà assoluta si fa riferimento a famiglie che non sono in grado di sostenere la spesa minima necessaria per acquistare beni e servizi di sussistenza. Questa soglia tiene in considerazione la numerosità familiare, la composizione per età, la grandezza del comune di residenza e la collocazione geografica. In particolare, dallo studio emerge che l’area più svantaggiata è stata quella del Mezzogiorno, dove la povertà familiare ha avuto un’incidenza dell’8,6% nel 2019 contro il 5,9 del Nord e il 4,5 del Centro. Comunque tutte percentuali più basse rispetto a quelle del 2018. A livello nazionale, se si considera il centro delle aree metropolitane, la tendenza su base annua è decrescente e ha portato la quota delle famiglie in difficoltà a diminuire dal 7,2 al 5,9%. Al contrario è cresciuta tra il 2018 e il 2019 l’incidenza della povertà tra i residenti in comuni con meno di 50.000 abitanti, passando dal 5% al 6,6.
Inoltre, l’Istat conferma un allineamento per il 2019 tra ristrettezza economica e aumento dei componenti del nucleo familiare. Se si passa dal considerare famiglie composte da quattro individui a quelle con cinque, coloro che sono stati registrati al di sotto della soglia di sussistenza passano dal 9,6% al 16,2 mentre un dato più vicino alla media è quello relativo alle famiglie con tre componenti, che sono state il 6%. E ancora, la presenza di figli conviventi, specie se minori, ha inciso negativamente sulla ricchezza familiare, così come il carattere monogenitoriale del nucleo. Un altro elemento che ha differenziato i dati tra famiglie è quello relativo all’istruzione: se la persona di riferimento del nucleo (ovvero l’intestatario della scheda di famiglia all’anagrafe) ha ottenuto il diploma di scuola secondaria superiore, l’incidenza della povertà è stata misurata al 3,4%, contro l’8,6 se il titolo più alto è la licenza media. Per quanto riguarda la condizione professionale della persona di riferimento, considerando operai e assimilati, l’incidenza è stata del 19,7% contro l’1,7 di dirigenti, quadri o impiegati.
Allarmanti sono pure i dati che riguardano i minori. Secondo il rapporto, nel 2019 sono stati oltre un milione i bambini e i ragazzi al di sotto della soglia della povertà assoluta, ovvero l’11,7% della popolazione. A tal proposito, Save the Children ha lanciato un appello: “Di fronte al rischio concreto di una nuova impennata della povertà che colpisce i bambini e le bambine nel nostro Paese, (…) è essenziale sviluppare un piano nazionale straordinario di contrasto alla povertà minorile perché l’investimento nell’infanzia è il più efficace e duraturo degli investimenti”.
Particolarmente delicata è anche la situazione emersa per gli stranieri. Sebbene le famiglie con membri di nazionalità estera nel 2019 fossero solo l’8,9% del totale, hanno rappresentato il 30,4% di quelle al di sotto della soglia di povertà assoluta. Una criticità, questa, percepita in misura maggiore nei comuni di piccole dimensioni. Secondo il report, l’andamento positivo tra il 2018 e il 2019 è stato rilevato in concomitanza con l’introduzione del reddito di cittadinanza, che ha aiutato circa un milione di famiglie in difficoltà. Tuttavia, coloro che hanno potuto beneficiarne coincidono in maniera solo parziale con quelli che sono stati considerati assolutamente poveri. La selettività è stata particolarmente inclemente con gli stranieri che, sebbene fossero una delle categorie in condizioni di maggiore disagio, in larga parte non sono riusciti a soddisfare il requisito di residenza.
Ma le prospettive per il futuro sono piene di ombre. L’emergenza pandemica e la riduzione significativa delle possibilità occupazionali potrebbero essere le principali cause del possibile aumento della povertà assoluta in Italia. Le stime elaborate da Coldiretti a riguardo si basano sulla crescita del numero di persone che in questo periodo di limitazioni hanno beneficiato di aiuti alimentari attraverso i fondi europei Fead, dal momento che le richieste arrivate alle associazioni caritatevoli sono aumentate ben del 40%.
Secondo questo studio, la pandemia ha portato categorie di persone a sperimentare situazioni di disagio mai vissute in precedenza, dando vita a un’emergenza sociale senza precedenti dai tempi del dopoguerra. In particolare, i più colpiti sono i piccoli commercianti e gli artigiani, gli imprenditori del turismo, i lavoratori a tempo determinato e stagionali. La situazione è critica specialmente per il Mezzogiorno, con il 20% degli indigenti concentrato in Campania, il 14 in Calabria, il 10 nel Lazio e, infine, il 9% in Lombardia.