La pandemia da Covid-19 ha messo in discussione i modelli organizzativi delle realtà imprenditoriali di tutto il mondo. Dalle attività commerciali alle produttive, passando per quelle di consulenza, tutte hanno dovuto rivedere il proprio modo di organizzare il lavoro e la propria strategia. Un fenomeno che ha coinvolto, tra gli altri, anche il settore del public affairs (qui l’articolo di Gabriele Ferrara sul dibattito in corso alla Camera per disciplinare l’attività di lobbying), in cui cerimoniali, regolamenti parlamentari e incontri hanno lasciato il passo a video conferenze e modifiche normative circolate principalmente attraverso i social media. Ma come è cambiata l’attività del lobbista durante l’emergenza coronavirus? Quali sono le nuove priorità che deve considerare? E che ruolo ricopre la trasformazione digitale in un momento come quello che stiamo vivendo? A queste e ad altre domande ha risposto Claudio Di Mario, founding partner e amministratore delegato di Adl Consulting.
Di Mario, come si combinano tra loro leadership, strategia e lobbying per una azienda che sta pianificando la propria fase 3?
Le aziende con team di lobbisti in smart working hanno testato la loro capacità di reazione a eventi imprevisti quali indiscrezioni in tempo reale a mezzo social o conferenze stampa anticipatorie di provvedimenti governativi legati alla formula “salvo intese”, senza perdere il presidio di decisori presenti in centinaia di webinar che hanno affollato le nostre agende digitali. E’ in questo contesto di estrema incertezza che leadership e azioni di public affairs hanno trovato un terreno di prova nello sviluppo dell’immaginazione strategica, ovvero nella creazione di condizioni organizzative per cui la capacità di analisi e le strategie necessarie per affrontare un evento del tutto inedito non fossero dipendenti solo dalle abilità di pochi individui dell’organizzazione.
Capacità di cambiamento e adattamento sono la chiave?
Assolutamente sì. Le organizzazioni che hanno saputo meglio di altre gestire la conoscenza e le informazioni operative – anche attraverso l’uso di piattaforme e soluzioni digitali – potranno affrontare in una posizione di leadership la fase 3. E questo grazie a nuove idee e soluzioni legislative rese possibili, come le dicevo, dall’immaginazione strategica e dalla capacità di collaborazione, anche a distanza.
Come si costruisce una strategia di lobbying vincente?
Mi piace sottolineare che il concetto di strategia non ha nulla a che fare con quello di vittoria, che è di natura eminentemente tattica. Nella strategia non esiste vittoria né sconfitta, ma solo il perseguimento lucido e razionale di obiettivi di sistema. Dal mio punto di vista posso dire che se si va oltre le logiche del breve termine e nel rispetto dei valori dell’organizzazione di cui si rappresentano gli interessi, una strategia di lobbying costruita in modo robusto a partire dall’analisi dei segnali deboli, dei dati e dell’impatto regolatorio ha sempre portato a misurare un ritorno dell’investimento (ROI) positivo. Sì, si può parlare in termini di ROI anche negli affari istituzionali.
Qual è, secondo lei, il ruolo dell’innovazione digitale nel public affairs?
Dal 2012 in Adl Consulting abbiamo introdotto il concetto di digital lobbying, inteso come processo lineare della catena del valore degli affari istituzionali e regolatori. Dal monitoraggio delle fonti alla rappresentazione degli interessi, passando per i contenuti della comunicazione istituzionale fino all’analisi dei risultati, questa innovazione rappresenta il nostro metodo di lavoro e di consulenza. Si tratta di un risultato raggiunto anche grazie ai nostri clienti più inclini a cogliere rapidamente le opportunità nel cambiamento del quadro economico e legislativo.
In pratica, quali soluzioni avete adottato?
Abbiamo implementato in questi anni nuove potenzialità sempre più efficaci della piattaforma KMIND, di cui sono autore insieme a Marialessandra Carro, partner e responsabile dell’innovazione in Adl Consulting. La gestione della conoscenza e la forza della collaborazione all’interno dell’organizzazione aziendale contribuiscono a raggiungere gli obiettivi prefissati nella strategia di lobbying. Il public affairs e la comunicazione istituzionale sono così un fattore competitivo per la gestione strategica dell’organizzazione che decide di adottare la metodologia del digital lobbying. Sempre in termini di innovazione stiamo puntando alla formazione di figure professionali non convenzionali come quella del data political scientist, una figura non semplice da reperire sul mercato del lavoro.
I social avvicinano sempre di più le persone alle istituzioni. A suo avviso, possono giocare un ruolo importante anche nell’attività di lobbying?
Quando i social media non esistevano erano le organizzazioni (aziende, partiti, sindacati) e le istituzioni (centri universitari, ospedali, enti pubblici e così via) a interrogare i soggetti a cui erano interessati per ottenere informazioni sul loro conto. La rivoluzione digitale ha completamente ribaltato questo assetto. Oggi sono i soggetti stessi che, attraverso i social network, comunicano volontariamente e intensamente se stessi: abitudini, opinioni, pensieri, intenzioni. Queste enormi potenzialità della tecnologia applicata alla politica hanno mutato radicalmente il ruolo della rappresentanza, in particolare il rapporto tra partiti ed elettorato fino a minacciarne, secondo le visioni più radicali, l’esistenza. In realtà, gli esempi contemporanei ci dicono che il rapporto tra partiti politici e cittadini ne esce intensificato.
Secondo lei a quali aspetti occorre porre maggiore attenzione?
Nelle democrazie gli effetti politici deleteri dei social media sono più forti perché si manifestano in un ambiente che ha come fondamento della propria legittimità costituzionale la libertà di espressione. Per cui accade che la politica online è estremamente più polarizzata e violenta, le persone tendono a rinchiudersi in quelle che vengono chiamate echo chambers (camere dell’eco) dove entrano in contatto solo con opinioni simili alle proprie. In poche parole, la democrazia viene inquinata, se non compromessa, nel suo cammino. Una parte sempre più rilevante nelle attività di lobbying è divenuta quella del fact checking e dell’analisi di rispondenza delle informazioni interne ed esterne all’azienda o all’organizzazione.