L’Unione europea è un sistema profondamente integrato nell’economia globale, ricettore di investimenti diretti esteri, potenza esportatrice, pienamente collocato nelle catene globali del valore. Negli ultimi decenni, l’Ue è stata uno dei principali beneficiari dell’interconnessione economica mondiale: il commercio estero rappresenta quasi il 35% del prodotto interno lordo, mentre il valore degli investimenti diretti esteri nell’Unione, rispetto al Pil, rappresenta il 40%. 35 milioni sono i posti di lavoro legati alle esportazioni e 16 quelli legati agli investimenti stranieri.
In altre parole, un occupato su sette oggi dipende dalle esportazioni, due terzi in più rispetto al 2000. Gli scambi commerciali sono fondamentali per le nostre piccole e medie imprese, che costituiscono l’87% di tutte le società esportatrici europee. L’Ue è anche il maggiore investitore al mondo, con uno stock di oltre 8,7 trilioni di euro detenuto da investitori dell’Unione all’estero. L’Europa promuove altresì il libero scambio e la penetrazione nei mercati esteri delle proprie imprese. In questo ambito, è impegnata nella rimozione delle barriere ai commerci, operazione non facile in tempi di protezionismo crescente.
Delle 438 barriere commerciali esistenti al mondo, 43 sono state introdotte solo nello scorso anno da 22 Stati diversi, tra cui primeggia la Cina, seguita dai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente. Cina e Russia, inoltre, sono i primi due Stati per numero di ostacoli all’accesso ai propri mercati, rispettivamente 38 e 31. Ciononostante, nel 2019, il lavoro delle istituzioni europee nella dismissione di barriere ai commerci globali, secondo le stime, ha portato a un beneficio diretto pari a 8 miliardi di euro in più per le imprese continentali. Sono state soprattutto le aziende dell’agroalimentare a trarne vantaggio, che hanno riguadagnato l’accesso a mercati che erano stati preclusi.
La Commissione europea, inoltre, sta mettendo mano a una revisione complessiva della politica commerciale dell’Unione, con l’obiettivo di costruire una strategia commerciale di medio termine e di rispondere alle nuove sfide globali, che anche la crisi del coronavirus sta facendo emergere. In questo ambito, il 16 giugno è stata lanciata una consultazione pubblica sul tema, finalizzata a coinvolgere nell’elaborazione il Parlamento, gli Stati membri, la società civile e tutti i soggetti interessati. In questo campo, l’obiettivo della Commissione di costruire una “stronger EU in the world”, cioè di rafforzare la leadership globale dell’UE, contempla anche la necessità di porre una lente di ingrandimento sugli investimenti diretti esteri in ingresso nell’Unione.
A questo fine, la Commissione ha diffuso una comunicazione con una guida agli Stati membri riguardante gli investimenti diretti esteri, la libera circolazione di capitali provenienti da Paesi terzi e la protezione delle attività strategiche dell’Europa, relativa all’applicazione del Regolamento UE 2019/452. Quest’ultimo istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione, il cosiddetto “FDI screening”. Per la Commissione, l’apertura dell’Ue agli investimenti esteri deve essere bilanciata da adeguati strumenti di controllo. Nel contesto dell’emergenza Covid-19, inoltre, viene evidenziato un rischio maggiore di tentativi di acquisizione attraverso IDE (investimenti diretti esteri) di capacità produttiva in ambito sanitario (ad esempio per la produzione di attrezzature mediche o protettive) o industrie correlate quali centri di ricerca (ad esempio per lo sviluppo di vaccini).
A questo proposito, si segnala l’annuncio del ministro tedesco dell’Economia Peter Altmaier, che ha comunicato che il governo parteciperà con una quota di 300 milioni al gruppo CureVac, impegnato nella ricerca di un vaccino contro il coronavirus. Lo Stato detterà così una partecipazione del 23% attraverso la banca pubblica KFW. Le norme UE, quindi, intendono fornire un quadro di garanzia degli obiettivi delle politiche pubbliche qualora tali obiettivi siano minacciati da investimenti esteri e, poiché, la responsabilità dello screening degli IDE spetta agli Stati membri, questi ultimi dovrebbero tenere conto dell’impatto sull’Unione nel suo insieme, con particolare attenzione alle capacità produttive strategiche, non solo nel settore sanitario, fondamentali per la sicurezza dell’Ue e parte rilevante dell’economia continentale, minacciate in questa fase anche dalla volatilità o dalla sottovalutazione dei mercati azionari.
Il meccanismo di “FDI screening” è parte anche del Libro Bianco sugli effetti distorsivi del mercato interno a causa di sussidi esteri adottato dalla Commissione e finalizzato ad aprire una consultazione pubblica, che si chiuderà il 23 settembre, utile alla Commissione per avanzare un’iniziativa legislativa in questo campo. Pertanto, la Commissione chiede agli Stati membri di utilizzare pienamente già da ora i propri meccanismi di screening degli IDE al fine di verificare i rischi per le infrastrutture sanitarie critiche, la fornitura di input critici e altri settori rilevanti come previsto nel quadro giuridico dell’Ue. Agli Stati membri che attualmente non dispongono di un meccanismo di screening o i cui meccanismi di screening non coprono tutte le transazioni pertinenti, invece, si chiede di istituire un meccanismo di screening completo e nel frattempo di utilizzare tutte le altre opzioni disponibili per affrontare i casi in cui l’acquisizione o il controllo di una particolare impresa, infrastruttura o tecnologia creerebbe un rischio per la sicurezza dell’UE. Ad aprile 2020 erano 14 i Paesi UE che disponevano di strumenti di controllo degli investimenti esteri. Tra questi c’è l’Italia, con la disciplina del Golden Power recentemente estesa e che sapremo valutare all’opera. Come ha ricordato a Formiche.net il presidente del Copasir Raffaele Volpi, “il Golden power c’è, manca l’idea di applicarlo. Difficile migliorare uno strumento se non lo si usa, rimane un esercizio di teoria”.