Il Global Innovation Index (GII) 2020, il report annuale sull’innovazione curato dalla Cornell University, dall’Insead e dalla World Intellectual Property Organization (l’agenzia ONU che si occupa della promozione e della protezione della proprietà intellettuale) suona il campanello d’allarme. L’edizione di quest’anno concentra la sua attenzione sul finanziamento dell’innovazione e sull’impatto che la crisi Covid-19 sta producendo sulla raccolta di risorse per sostenere lo sviluppo tecnologico.
Dai dati elaborati dal team del GII, emerge come la pandemia globale abbia comportato una riduzione consistente dei finanziamenti dedicati all’innovazione. Nel clima di recessione le imprese e i grandi finanziatori hanno ridotto in misura ragguardevole gli investimenti in R&S, le dotazioni del venture capital e le risorse orientate alla proprietà intellettuale. Seppure non generalizzato per comparti industriali, dimensioni di impresa e regioni del mondo, questo calo dell’innovation finance richiede un intervento da parte dei policy maker.
Intanto, lo scenario globale dell’innovazione va mutando. Se sono i Paesi occidentali e ad alto reddito a guidare il ranking mondiale dell’avanzamento tecnologico (Svizzera, Svezia e Stati Uniti d’America capeggiano la classifica), sono le economie in via di sviluppo a mostrare i miglioramenti più evidenti, con uno spostamento di parte della capacità globale di innovazione verso la regione asiatica: Cina, Vietnam, India e Filippine hanno registrato i progressi più significativi. L’Europa ha mantenuto comunque la leadership nei settori considerati dal GII. Nella top ten figurano ben 7 Paesi del Vecchio continente: oltre alle già citate Svizzera e Svezia, troviamo Regno Unito (al 4° posto), Paesi Bassi (5°), Danimarca (6°), Finlandia (7°) e Germania (9°). E l’Italia? Il nostro Paese si colloca al ventottesimo posto, due posizioni più su rispetto all’anno precedente.
Se la Svizzera, leader globale secondo il GII, presenta un punteggio, calcolato su 80 indicatori, pari a 66, l’Italia si ferma a 65,7. Invece, brilla, in particolare, per il design industriale, per cui è prima al mondo. Nel complesso, tuttavia, pesano sul giudizio nei nostri confronti tare ampiamente riconosciute del Sistema Italia. Gli indicatori di ambito istituzionale, ad esempio, hanno un gap da recuperare: dalla stabilità politica all’efficacia del governo, dall’ambiente regolatorio alla facilità di fare impresa, si nota come l’Italia perda posizioni rispetto ai Paesi sviluppati. Il divario più significativo si segnala nell’ambito di quella che il Global Innovation Index chiama “market sophistication”, che annovera indicatori legati al credito, alla protezione degli investitori, alla capitalizzazione dei mercati e alle dimensioni del venture capital, oltre che alla tassazione del commercio e alla competizione nei mercati locali. In questo campo, l’Italia è arretrata al cinquantesimo posto al mondo. Anche l’ambito della “business sophistication” non regala grandi soddisfazioni. Nello specifico a riguardo delle competenze dei lavoratori e dell’assorbimento della conoscenza.
Al contrario, buoni risultati sono stati raggiunti nel comparto delle infrastrutture, che comprendono quelle generali, le ICT e quelle legate alla sostenibilità ambientale, dove siamo diciannovesimi. La stessa posizione si registra anche riguardo ai brevetti. Inoltre, l’Italia è ventisettesima per la creatività, cioè per la produzione di asset intangibili, di beni e servizi creativi e per la creatività online mentre si colloca al diciottesimo posto per gli output della conoscenza e della tecnologia: la creazione, l’impatto e la diffusione della conoscenza, misurati attraverso numerosi indicatori, disegnano un quadro di fiducia per lo stato dell’arte dell’innovazione nel nostro Paese e rappresentano una base solida su cui porre interventi in grado di portare la Penisola sulla frontiera dell’avanzamento tecnologico nel mondo.