Referendum costituzionale, le ragioni del sì e quelle del no


Articolo
Giulia Palocci

Domenica 20 e lunedì 21 settembre gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimere il loro voto al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, il quarto nella storia della Repubblica (prima ci sono stati solo quello sulla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, quello sulla riforma della Parte II voluto dal centrodestra nel 2006 e, il più recente, nel 2016 promosso dal Partito democratico). A quasi un anno dall’approvazione in Parlamento del testo di legge – in pratica unanime – e in seguito alla richiesta di 71 senatori di sottoporre la riforma al vaglio popolare, il dibattito politico si è riacceso tra chi è favorevole e chi, invece, contrario. Ma quali sono le ragioni del sì? Quelle del no? E cosa cambierebbe effettivamente se la modifica costituzionale fosse confermata?

PER COSA SI VOTA

Sulla propria scheda l’elettore troverà il seguente quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?“. In caso di vittoria del sì, il numero dei parlamentari si ridurrebbe di un terzo. Nello specifico, i deputati passerebbero da 630 a 400 mentre i senatori da 315 a 200, per un totale di 600 parlamentari contro gli attuali 945. Si tratta di un referendum costituzionale confermativo per il quale non è obbligatorio il raggiungimento di uno specifico quorum. In pratica, affinché l’esito sia considerato valido, non è necessario che si rechi alle urne la metà più uno degli aventi diritto al voto (come nel caso dei referendum abrogativi). Ma c’è di più. La riforma prevede anche una modifica dell’istituto dei senatori a vita, che non dovranno essere più di cinque in carica tra quelli nominati dal presidente della Repubblica, e il taglio degli eletti all’estero. In questo caso i deputati scenderanno da 12 a 8 mentre i senatori da 6 a 4.

LE RAGIONI DEL SÌ E DEL NO – IL RISPARMIO ECONOMICO

I motivi che stanno spingendo molti ad appoggiare la riforma sono principalmente di due tipi: il primo è di natura economica, l’altro legato all’efficienza della politica. Secondo i sostenitori del sì, il taglio dei parlamentari farebbe risparmiare alle casse dello Stato ben 100 milioni di euro l’anno. Un dato, questo, prontamente confutato dallo schieramento opposto, secondo cui l’effettivo risparmio economico non sarebbe poi così rilevante. Ad avvalorare questa tesi, i dati diffusi dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli che descrivono uno scenario piuttosto diverso: “Il risparmio netto complessivo sarebbe quindi pari a 57 milioni all’anno e a 285 milioni a legislatura, una cifra significativamente più bassa di quella enfatizzata dai sostenitori della riforma e pari appena allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana“.

LE RAGIONI DEL SÌ E DEL NO – L’EFFICIENZA DEL PROCESSO DECISIONALE

Quanto al secondo aspetto, ossia l’efficienza del processo decisionale, i sostenitori del no ritengono che la diminuzione del numero dei parlamentari non farebbe altro che minare il principio di rappresentanza. Secondo questa posizione da un lato il Parlamento sarebbe meno rappresentativo della popolazione mentre, dall’altro, le regioni più piccole ne uscirebbero certamente penalizzate (a meno che il referendum non venga accompagnato da una riforma degli assetti istituzionali e della legge elettorale in senso proporzionale). Un’idea da cui si distanzia nettamente, invece, il fronte del sì, sostenendo a gran voce che un numero minore di deputati e senatori garantirebbe agli elettori un più rapido ed efficiente processo decisionale e assicurerebbe, allo stesso tempo, una maggiore responsabilità degli eletti. A sostegno di questa tesi c’è anche la questione del rapporto tra numero di parlamentari ed elettori, secondo alcuni troppo alto rispetto agli altri Paesi europei (qui un interessante approfondimento sulla questione condotto da Alessio Vernetti per YouTrend).

LE RAGIONI DEL SÌ E DEL NO – LA MANCANZA DI UNA RIFORMA ORGANICA DELLA COSTITUZIONE

Non da ultimo, ulteriore terreno di scontro è l’idea di dare vita a una riforma costituzionale più organica, fortemente voluta dai sostenitori del no, che preveda una serie di pesi e contrappesi in grado di non ridurre il referendum a un mero taglio delle poltrone di Montecitorio. Questione di cui ha scritto anche il direttore di Repubblica Maurizio Molinari in un editoriale lo scorso 20 agosto: “In assenza di un quadro di riforma il taglio dei parlamentari si trasforma in una semplice riduzione numerica incapace di rispondere alla necessità di avere un Parlamento più efficiente“. D’altra parte, a supporto della tesi del sì ci sono le esperienze del passato. Ad eccezione del Titolo V, gli altri tentativi di riforma organica della Costituzione sono stati un buco nell’acqua, come ha ricordato anche il prof. di Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Milano, Luigi Curini, in suo recente intervento su Formiche.net. Si trattava di cambiamenti importanti che, tuttavia, non hanno trovato seguito. E così si è fatta strada la convinzione che procedere con modifiche più puntuali e lasciare ai lavori parlamentari il compito di intervenire in seguito sui diversi assetti istituzionali fosse la strategia migliore.

ANCHE LE REGIONI AL VOTO

Ma le prime elezioni italiane dell’era post-Covid non riguardano solo il referendum. Il 20 e 21 settembre gli italiani di 7 regioni (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Veneto e Valle d’Aosta) e 962 comuni saranno chiamati a votare per le regionali, per le amministrative e per le suppletive di due collegi uninominali in Sardegna e in Veneto. Una partita importante che vede il centrodestra unito mentre Pd e cinquestelle si presenteranno insieme solo in Liguria con il giornalista Ferruccio Sansa (che però non è stato appoggiato da Italia Viva). La posta in palio è alta e l’esito delle urne potrebbe avere anche importanti ripercussioni a livello nazionale.

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

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